L’organo di valutazione – di cui fanno parte i rappresentanti di regione siciliana, città metropolitana e comuni di Milazzo e San Filippo del Mela – appena due anni addietro, applicando i parametri imposti dalla normativa e quindi valevoli per tutto il territorio nazionale, aveva già rilasciato all’impianto mamertino la stessa autorizzazione a valere fino al 2030.
Ma il “Piano Regionale di tutela della qualità dell’aria” (dgr. 268 del 18 luglio 2018) esitato dopo appena pochi mesi dalla Giunta Musumeci, imponendo valori più bassi ha di fatto azzerato l’AIA rilasciata e con essa anche le riduzioni di emissioni che quell’autorizzazione aveva già imposto all’azienda, obbligando per questi anni la raffineria ad operare osservando solo i vecchi limiti imposti ed a ripetere l’intera procedura di rinnovo.
Non si tratta di ambiente e salute. I valori indicati dalla Regione Siciliana non sono richieste agli impianti in nessuna altra parte d’Italia o del mondo e la Giunta Musumeci non ha fatto altro che tagliare al 50% i valori normali che la legge nazionale consente ad ogni azienda che investe e produce ancora nel nostro Paese.
Dunque un taglio del 50% dei valori che però si tradurrà invece in un taglio del 100% su occupazione ed economia e sviluppo dei territori dato che renderà impossibile a tutti gli impianti siciliani – non vale solo per le raffinerie – competere su queste basi con ogni altra realtà, siano esse pure nazionali.
E poi limiti più bassi a prescindere dallo stato oggettivo in cui si trova ogni impianto? Ovvero se sia tecnicamente possibile o meno? E ancora, al di sotto della soglia nazionale… perché?
Chi dice che in realtà ciò costringerà solo le aziende a pagare di più apportando tutte le modifiche per adeguarsi ai nuovi limiti ed offrendo quindi più lavoro ed occupazione non ha la minima idea di quanto sia invece debole il tessuto produttivo di questa regione e di come i mercati si siano ulteriormente ristretti e, infine, non essendo la Sicilia il centro del mondo, le stesse produzioni possono benissimo essere svolte altrove, come già accaduto e purtroppo accade.
D’accordo la spallata in nome di una confusa quanto generica idea dell’ambiente, ma se poi il bluff non riesce e quel poco di industria che ancora resiste si trasferisce nelle regioni più forti quale lavoro garantiamo alle comunità e con quali soldi si reggeranno i servizi degli enti locali anche e soprattutto per le fasce più deboli, visto che negli ultimi 50 anni non c’è stato nessun imprenditore che abbia voluto scommettere in quest’area?
I salti nel buio sono possibili nella propaganda e nel bla bla della politica. Il lavoro e l’occupazione, affinché la loro assenza non si tramuti in povertà e disagio, hanno invece bisogno di certezze e di concrete possibilità
Venerdì 19 giugno il Gruppo Istruttorio del Ministero non potrà fare altro che certificare l’obbligo per la RAM dei limiti imposti dalla normativa regionale, che saranno poi definitivamente sanciti dalla conferenza dei servizi. La Raffineria di Milazzo sarà così solo la prima vittima di quelle norme che saranno poi applicate a giro a tutte le altre realtà dell’isola.
Riteniamo tutto ciò una sciagurata e pericolosa strategia volta solo a recuperare qualche voto nelle imminenti competizioni elettorali. Non è più il tempo della solidarietà spicciola o della pacca sulla spalla a chi perde il lavoro. I documenti votati dai consigli comunali, le dichiarazioni personali e qualsiasi altro sforzo devono tramutarsi in una energica presa di posizione in difesa del lavoro e dell’occupazione. Non staremo fermi ad aspettare l’inevitabile e chiediamo pertanto alle istituzioni, alle deputazioni, agli ordini ed alle organizzazioni di far sentire la propria voce e costituire un grande patto sociale che tolga ogni alibi ad aziende ed a grandi gruppi per abbandonare l’sola