33 milioni al voto, il 59,3% scelse un Paese laico
Una ricorrenza importante quella che il 12 e 13 maggio 1974 portò alle urne l’87,7% degli aventi diritto, che andarono a votare il primo referendum abrogativo in Italia sostenuto dalla Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani. I risultati, comunicati in diretta televisiva, fecero scoprire un’Italia laica che aveva scelto di mantenere valida la legge sul divorzio.
Un esercito di 33 milioni al voto: i Sì ottennero il 40,7%; schiacciante il numero dei No, il 59,3%. Schierati per il Sì, e quindi contro il divorzio, la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale. A favore del No il fronte laico ovvero il partito Comunista, Radicali, Socialisti, Repubblicani e Liberali.
Vinse dunque l’Italia emancipata, quella che reputava necessaria e non in discussione la legge sul divorzio nota come Fortuna-Baslini, dal nome dei due deputati Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale) primi firmatari, entrata in vigore dopo un lungo travaglio il primo dicembre 1970, quasi quattro anni prima del referendum. Una misura di quanto profondamente i costumi e i valori della società civile fossero ormai cambiati. Gli italiani, come scrisse Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera, comunicarono alle istituzioni e ai partiti di non essere più quelli di una volta, perfino all’interno del mondo cattolico. Va ricordato che prima della legge sul divorzio che riconosceva il potere allo Stato di sciogliere le unioni coniugali, questo diritto era riservato esclusivamente ai tribunali ecclesiastici della Sacra Rota.
Sostanzialmente il Centro-Nord e le Isole si espressero in senso contrario all’abrogazione, mentre il Sud si espresse in senso anti-divorzista. Il no prevalse però in Abruzzo e il sì in Veneto e Trentino-Alto Adige (favorito dalla vittoria del sì con il 51,5% in Trentino, mentre in Alto Adige prevalse il no con il 50,38%). La regione che più si espresse contro l’abrogazione della legge sul divorzio fu la Valle d’Aosta, con il 75,06% di voti contrari. Seguirono Liguria (72,57%) e Emilia Romagna (70,97%). La regione che più si espresse favorevolmente fu invece il Molise (60,04% di voti favorevoli), seguita da Basilicata (53,58%) e Puglia (52,60%).
La sconfitta antidivorzista rappresentò di fatto l’arresto del protagonismo politico di Fanfani, tra i più longevi della Prima Repubblica: la successiva sconfitta democristiana alle elezioni regionali del 1975 lo costringerà a lasciare la carica di segretario a Benigno Zaccagnini. Allo stesso modo, la netta vittoria del ‘No’ fu un duro colpo anche per la Chiesa, che aveva sospeso a divinis l’abate don Franzoni, favorevole al mantenimento della legge.
Strik Lievers, ’50 anni fa la battaglia sul divorzio’
“Il segretario del Pci Berlinguer era terrorizzato di perdere e fece di tutto per rinviare il referendum, mentre il segretario della Dc Fanfani, la destra cattolica e il Papa Paolo VI volevano che si tenesse perchè sicuri di vincere”.
A ricordare cosa avvenne anche nei mesi precedenti a quel 12 maggio del 1974 quando 33 milioni di italiani andarono alle urne per decidere se la legge sul divorzio, approvata circa un anno prima dal Parlamento, dovesse essere abrogata o no, è Lorenzo Strik Lievers.
Cinquanta anni fa partecipò attivamente alla campagna referendaria.
Allora era un dirigente radicale, poi dall’87 al ’92 è stato senatore della Repubblica con il Gruppo Federalista Europeo Ecologista e dal 1994 al 1996 deputato con Forza Italia, sempre come Radicale, e consigliere regionale della Lombardia dal 2000-2001. Era tra coloro che scesero in strada a festeggiare quel 13 maggio quando si seppe che gli italiani avevano scelto di mantenere valida la legge Fortuna-Baslini sul divorzio: i ”si” avevano ottenuto il 40,7%; i ”no” il 59,3%. “Allora avevo 30 anni e già da dieci anni ero un dirigente radicale a Milano – spiega – la battaglia di noi Radicali e della Lega per il Divorzio (Lid-Lega italiana per l’introduzione del divorzio) cominciò quando i cattolici iniziarono raccogliere le firme per il referendum . Contestavamo la legittimità del fatto che lo facessero nelle chiese, durante le funzioni religiosi, quando il Concordato vieta esplicitamente l’attività politica nelle chiese”. Un volta raccolte le firme la seconda fase della battaglia fu “di opporci – prosegue – al grande tentativo di evitare il referendum perchè gran parte delle forze di sinistra laiche erano convinte che si sarebbe perso il referendum, come dall’altra parte i cattolici erano sicuri che avrebbero vinto perchè l’Italia era un Paese cattolico. Quindi con molta forza abbiamo denunciato i tanti tentativi di modificare la legge per evitare il referendum”.
Mentre Marco Pannella e Mauro Mellini e molti Radicali erano certi che il Paese fosse maturo per il cambiamento. “Fu una campagna elettorale difficile – sottolinea – noi Radicali e la Lega per il divorzio fummo esclusi dalle partecipazioni televisive, dove andavano soltanto i partiti. Noi facevamo volantinaggio e comizi. Ci aiutò un settimanale molto popolare ‘Abc’ che aveva buttato tutte le sue energie per fare varare la legge sul divorzio. il direttore era un tipografo, Enzo Sabato, ci aveva messo un mucchio di soldi per la campagna di promozione. Ovviamente non avevamo il denaro per fare un quotidiano e Pannella aveva creato un giornale che usciva ogni tanto e si chiamava ‘Liberazione’. Era talmente convinto della vittoria che con vari giorni d’anticipo aveva a preparato un numero speciale con il grande titolo ‘il NO ha vinto’ e predisposto un palco a piazza Navona per festeggiare la vittoria.
Appena arrivate le prime notizie sui risultati dello spoglio i Radicali erano pronti in piazza Navona a distribuire il numero. Fu assolutamente sconvolgente per l’Italia di allora che ci fosse un voto così clamorosamente contro la Democrazia Cristiana e l’egemonia cattolica. Una cosa molto significativa è che una parte consistente di elettorato democristiano ha votato no. Direi che è stato un grande moto di popolo”. “Pannella – prosegue – aveva usato questo slogan ‘Argentina Marchei ha vinto, Paolo VI ha perso. Argentina Marchei era una popolana romana, una comunista che si era molto spesa per la battaglia del divorzio. Ed era proprio questa la chiave del discorso dei Radicali: guardate che il divorzio non è una questione che riguarda la borghesia, come all’inizio anche molti comunisti dicevano. No il divorzio era una questione che riguarda tutta la gente: è stato veramente un grande moto di popolo come dimostra la percentuale di vittoria. Io personalmente – ammette – avevo dubbi sulla vittoria”.
ansa