Messina “violenta”? E’ una definizione azzardata ed estremamente sbrigativa per identificare un problema che c’è, è stato più volte segnalato, attenzionato, trattato anche in convegni dove l’amministrazione comunale, ricordo, non ha neanche presenziato e che non risiede di certo in fatti del tutto scollegati tra loro come l’aggressione al Commissario Giardina e l’azione di bulli.
Ma il problema c’è e non può essere di certo risolto con (altre!) mille telecamere da piazzare qua e là in città. Una telecamera può solo registrare e immortalare quel che accade. Non consente di intervenire in tempi brevi, a meno che non vi sia una presenza sul territorio capillare. Una telecamera di sorveglianza può solo rendere prova di un fatto, ma solo dopo che il peggio è accaduto. Costituisce solo la documentazione di cronaca cruda.
Può essere questa l’azione primaria di un’amministrazione che non sembra tenere conto del fatto che la “violenza” giovanile, diffusa sempre più e non solo a Messina, che non ha nulla a che vedere con l’aggressione ad un esponente delle forze dell’ordine perché questa risultato di pregresse vicende, esacerbate, e che sono culminate in un atto vergognoso e vigliacco possibile solo perché non rispettate le regole minime di sicurezza da parte di chi è intervenuto? Insomma, mille telecamere mille, cosa possono davvero risolvere?
DOVE SI ANNIDA IL PROBLEMA?
Bisognerebbe invece chiedersi dove si annida il problema. A cominciare dalla scuola, dall’abbandono degli studi che costituisce la dispersione scolastica che non è un male recente, ma che oggi si è esacerbato anche a causa del prezzo che i nostri giovani stanno pagando per un lockdown da pandemia che sta presentando il conto. Per poi proseguire nelle reali occasioni di occupazione e di prospettiva per chi abita a Messina.
Bisognerebbe che si ascoltino i segnali di allarme che arrivano proprio dalle forze dell’ordine, dai comunicati impietosi di una estrema e sistematica diffusione di sostanze stupefacenti sempre più spersonalizzanti e deleterie per la salute mentale, che stanno letteralmente ammorbando i nostri giovani, le nostre risorse migliori, che stanno avvelenando, in una parola, il nostro futuro. Basterebbe raccogliere i dati dei SERT o SERD, perché la lampadina rossa dell’allarme sociale si accenda. Basterebbe solo prendere coscienza di quanto avviene nelle piazze e sui social per comprendere che il terreno sta franando sotto i piedi dei nostri giovani e delle famiglie e a nulla vale una “sbrigativa” telecamera se non solo credere di aver messo a posto la propria coscienza.
IL DISAGIO INCONSAPEVOLE DELLE FAMIGLIE SEMPRE PIU’ SOLE
La telecamera è e resta uno strumento “passivo”. Lo strumento migliore è ed è sempre stato quello dell’azione delle politiche sociali. La presenza sul territorio di operatori dell’ascolto e dell’azione di integrazione al compito delle famiglie, troppo spesso così immerse in difficoltà quotidiane del solo sopravvivere da divenire completamente cieche rispetto a ciò che avviene proprio dentro casa e sotto i loro occhi. Famiglie incredibilmente e come non mai prima, completamente sole. Famiglie da non condannare, a cui non si può caricare interamente la colpa di una “violenza” che degenera in quotidiana distruzione dei rapporti familiari, dell’avvelenamento dei valori sociali e di convivenza tra giovani, dell’azzeramento delle prospettive. Una progressiva intossicazione di una generazione che lancia un grido silente, una richiesta d’aiuto inconscia, che cade nel nulla, ma che, grazie a queste altre mille, di certo sarà raccolta, a tragedia avvenuta, da una sofisticatissima e costosissima telecamera nuova fiammante. Un baratto, quello tra l’acquisto di altre telecamere, e la tutela del nostro futuro che non è accettabile e che non assolve.