Quel primo ottobre del 2009 era giovedì.
Le nuvole nere provenienti dalle Baleari si addensarono sugli abitati di Giampilieri, Scaletta Zanclea, Altolia, Molino, Santo Stefano Briga, Santo Stefano Superiore e Pezzolo ed altri limitrofi.
Il fragore dei tuoni ed il lampo dei fulmini si intravedevano anche dal centro di Messina dove il cielo si mantenne beffardamente terso. Mentre a sud della città si scatenò l’inferno di acqua.
Letteralmente sembrò che il cielo volesse venire giù su quei vicoli, quelle piazze, sugli abitati antichi delle colline di Messina sud. Fu un’ampia porzione di una collina a staccarsi, un enorme costone che rovinò su case, famiglie, storie che furono come annientate dalla furia degli elementi.
Le strade e le piazze , così come gli alvei dei fiumi, si riempirono di acqua, fango e pietre grandi come camion, che spazzarono via tutto. Le grida di aiuto che giunsero ai centralini dei numeri di emergenza, rimbalzando di famiglia in famiglia, ricevettero risposte incredule per poi diventare attonite e terrorizzate. quando si comprese la portata di quel che stava avvenendo. I soccorsi fecero enorme fatica per raggiungere chi poteva essere salvato. Ci vollero giorni di lavoro estenuante per, invece, strappare al fango ormai indurito le vittime sepolte dalla montagna e dalle loro case. Le storie sono conosciute, dolorose, per chi resta e non vuole dimenticare, sono esempi di un evento che allora sembrò eccezionale e colposo. Un’interpretazione errata che addebitò ad un inesistente abusivismo edilizio la morte di 37 persone, tra donne, anziani, giovani e bambini, dei quali ancora oggi una di loro è vittima non identificata.
Oggi si è compreso, invece, che gli stravolgimenti climatici mettono a dura prova tutto il territorio italiano e che non è “solo Giampilieri” o Scaletta Zanclea, che dappertutto può avvenire quel che avvenne 15 anni fa. Oggi si comprende meglio che il territorio è un patrimonio a rischio che deve essere tutelato e per il quale l’atteggiamento deve essere di costante attenzione e priorità. Non vi è altra urgenza superiore a quella di metterlo in sicurezza. Non vi è altra opera che può essere “più importante” se non quella di mettere al sicuro le comunità e i loro abitanti. Non c’è parcheggio, non c’è piazza, non c’è abbellimento che possa essere realizzato se non prima si è intervenuti per scongiurare che di nuovo una montagna crolli su cittadini ignari del pericolo, o spaventati e inascoltati. Così dovrebbe essere per ogni amministrazione, che si nazionale, regionale o cittadina. Ma la memoria continua ad essere usata solo per le ricorrenze, per contare le vittime, per il “dopo”.
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