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Anche a Messina, giornalisti e blogger contro le “querele temerarie”. Quelle che “The Guardian” chiama “oltraggiose prepotenze”. Bavagli inutili contro chi non molla.

- 18/09/2024

Un esempio per tutti è quello intentato contro Roberto Saviano. Contro di lui si schierò la macchina degli avvocati che brandirono un’arma potente ma che spesso si dimostra spuntata, ma lo è solo contro chi non molla. In Italia si chiama querela temeraria, all’estero si chiama “Slapp”, un sistema che The Guardian, nel caso di Saviano, ma vale per tutti, definì “oltraggiosa prepotenza“.

‘Slapp’, acronimo di Strategic lawsuit against public participation, è la “causa strategica contro la partecipazione pubblica”. Sono le cause legali in cui è evidente la grossa sproporzione di potere tra la persona o organizzazione che fa causa e colui che viene accusato. L’obiettivo non è necessariamente vincere il processo, ma comunque e sempre intimidire la persona accusata al fine di scoraggiarne il lavoro, sottraendole tempo, soldi e iniziativa. Alterandone il già precario equilibrio psichico e di concentrazione necessario a condurre un’inchiesta, un approfondimento, un’operazione verità. Approfittando anche dello scarso senso comune della presunzione di innocenza, che fa sì che chiunque si trovi sotto accusa venga messo in una posizione di debolezza e rischio. Insomma, il tentativo di imporre un bavaglio.

Il più delle volte le querele sono per diffamazione, rivolte quasi sempre a giornalisti, blogger o attivisti che scrivono o dicono in pubblico qualcosa che qualcuno sostiene essere diffamante nei suoi confronti. Le conseguenze possono essere sia penali – quando le Slapp vengono presentate in forma di querele – sia civili, quando viene chiesto un risarcimento per danni.

Le “Slapp” o querele temerarie quasi sempre sono cause intentate da persone o organizzazioni che hanno disponibilità economiche in grado di sostenere agevolmente lunghi processi: è invece assai più dispendioso – in termini di tempo, soldi ed energie mentali – difendersi per un giornalista, blogger o attivista, che in molti casi deve provvedere da solo a pagare un avvocato. Chi presenta le Slapp è generalmente consapevole di questa sproporzione e la sfrutta a suo favore.

I giornalisti che lavorano come liberi professionisti, i freelance, sono peraltro quelli più esposti ai rischi di questo genere di azioni legali, ma ancora di più i blogger: non hanno infatti il vincolo di un contratto di lavoro dipendente, e non è consuetudine per le testate sostenerli con un avvocato o nelle spese legali.

Un dossier del 2016 curato dall’associazione “Ossigeno per l’informazione”, basato su dati forniti dal ministero della Giustizia, stimò che circa il 70 per cento delle querele per diffamazione viene archiviato su proposta del pubblico ministero, e quindi non arriva nemmeno a processo. Nel 2019 il ministero confermò all’associazione che quella percentuale era ancora valida. E per diversi altri esperti del settore con ogni probabilità lo è ancora oggi.

I pubblici ministeri, solitamente, riconoscono l’impianto spesso pretestuoso di queste querele e decidono nella maggior parte dei casi che non ci sia fondamento sufficiente per andare a processo: in molti casi i giornalisti non vengono neanche a sapere di avere querele a loro carico. Quelle che procedono per il 92 per cento (sempre secondo i dati del 2016) non arriva a condanna.

Il reato di diffamazione in Italia è descritto dall’articolo 595 del codice penale e riguarda chiunque “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”. È punito con la reclusione fino a due anni o una multa fino a 2.065 euro (ma entrambe possono essere aumentate se l’offesa è contro “un corpo politico, amministrativo o giudiziario”). Perché si parli di diffamazione è sufficiente che la dichiarazione ‘diffamante’ sia comunicata in presenza di almeno due persone, e non è necessario che sia falsa: si può diffamare anche dicendo una cosa vera.

In riferimento al giornalismo, o comunque altri tipi di pubblicazioni o discorsi di interesse pubblico, il giudice deve quindi stabilire se valga di più la tutela della reputazione e dell’onore di una persona, o il diritto di critica e di cronaca di un’altra: questi due diritti a loro volta presuppongono che ci debba essere un interesse pubblico dell’informazione divulgata e che questa sia esposta con correttezza e pertinenza. Sono tutti concetti molto interpretabili e difficilmente definibili in assoluto.

Lo “SLAPP”, la querela temeraria è uno strumento di repressione del diritto di informazione che, a Messina come in molte altre località italiane, sembra essere diventato l’unico surrogato ad una legittima replica a chi, con documenti e prove alla mano, chiede risposte nell’interesse comune.