Messina non è una città “babba”. I messinesi dovrebbero saperlo e da tempo. Almeno fin da quella Commissione Parlamentare Antimafia, Presidente Niki Vendola, intervenuta dopo l’omicidio del professor Matteo Bottari, il 15 gennaio 1998. Un “verminaio” la cui locuzione è stata ribadita sottesamente anche con la seconda visita, questa volta della Commissione regionale Antimafia, intervenuta nel 2023, a conclusione della quale il Presidente Antonello Cracolici sottolineò come “in questo territorio, come nel resto della Sicilia, emerga un sistema criminale forte, è presente soprattutto il traffico di stupefacenti che costituisce una minaccia seria anche per i ragazzini con rischi notevoli per la sicurezza pubblica”. Una emergenza droga, quindi, conclamata e che va di pari passo con una criminalità organizzata sempre più attiva e “autorevole”, come sottolineato dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Messina Antonio D’Amato. Una “multinazionale” della droga che importa a Messina volumi incredibili di stupefacente dal Nord Italia, ma anche dall’Olanda, dalla Spagna, divenuta, quindi, innegabilmente molto più che crocevia degli stupefacenti. I capi dell’organizzazione messinese, che ricade e si muove in veri e propri quartieri blindati con case “fortino”, come Giostra, Villaggio Aldisio e Santa Lucia sopra Contesse, sono i grossisti siciliani che ordinano, pagano con regolarità la “merce” per quantità sempre più elevate “a dimostrazione che se c’è un’offerta ciò vuol dire che c’è una domanda” ha detto sempre il Procuratore D’Amato.
L’AUTOEVOLEZZA SPIETATA DEI GROSSISTI MESSINESI DELLA DROGA – “LA DROGA POTENTE CHE DA’ PIU’ DIPENDENZA”
SPICE E CRACK
Una lucida e spietata strategia di acquisizione e di aumento di “importanza” dell’organizzazione criminale del narcotraffico con base a Messina, acuita dalla consapevolezza “commerciale” che il “il cliente va fidelizzato”, imprigionato e sequestrato dalla sostanza. Determinazione spietata che si traduce nella ricerca della “droga più potente”, quella che procura più sballo e maggiore e più immediata dipendenza. Sostanze come il crack e la spice ne sono la pura concretizzazione.
Il mondo degli stupefacenti e della dipendenza è molto cambiato rispetto a quello degli anni ’70, della sua evoluzione negli anni ’80 e ’90, fino ad oggi. Le nuove sostanze non sono quasi più di derivazione naturale. Ormai nelle nuove sostanze esiste una base, come nella spice, di origine organica che viene letteralmente inondata di sostanze psicoattive, quindi chimiche, secondo “ricette” di preparazione che non sono mai eguali. E questo è il punto critico nodale in cui risiede il rischio connesso alla loro assunzione.
CRACK: dipendenza e patologie psichiatriche connesse. Basso prezzo uguale alla portata anche dei ragazzini
Non c’è un crack uguale all’altro, non esiste una spice uguale all’altra. La cocaina “base” è “cucinata” con ingredienti che spaziano dagli antibiotici alla benzina, fino al semplice intonaco da muro. Tutto contribuisce a creare volume. Così partendo da una quantità minima di cocaina di “base”, appunto, la sostanza cresce e lievita consentendo la vendita a basso prezzo. Una peculiarità fondamentale per chi la vende in quanto consente loro di allargare il proprio ventaglio di clienti, inserendo in agenda anche tanti nuovi assuntori che per età scendono anche fino ai 12 anni. Cinque/dieci euro, tanto può arrivare a costare una “fumata” di crack, rendendo la sostanza alla portata di chiunque, anche del ragazzino che può permettersela con poco, pari ad un pacchetto di sigarette, ma che può bastare, anche quella sola assunzione, a creare una dipendenza devastante. E poi il crack si fuma, come la marijuana, rivestendolo, così, di una temibile alea di minore pericolosità che è il vero e proprio tranello nel quale chi l’ha inventata, chi la prepara, chi la distribuisce e chi la vende, vuol attirare gli assuntori occasionali di “maria“. Un esercito di nuovi tossicodipendenti spesso malgrado loro stessi e sempre più giovani.
LA SPICE, la “spezia”
Stesso discorso vale per la spice. Un cannabinoide sintetico che di base ha la marijuana ma che di vegetale conserva molto poco visto che è enormemente innaffiata di sostanza chimica nebulizzata nella fase di essiccazione della pianta. Una miscela artificiale che si basa su una composizione di massima che non verrà mai rispettata e che pertanto costituisce una variabile pericolosa per chi assume questa droga.
L’assunzione, infatti, comporta delle reazioni estremamente imprevedibili e variabili. Inoltre, le sostanze sintetiche possono essere mal distribuite per via delle grossolane tecniche di produzione: si potranno avere così dosi con una eccessiva componente sintetica che comporta un alto grado di tossicità, comportando gravi conseguenze per chi ne fa uso, anche in modo occasionale.
L’alta tossicità della spice, così come quella del crack, determina che chi fa uso di queste sostanze, spesso non conosce le vere conseguenze, specialmente se si tratta di soggetti particolarmente giovani. L’assunzione reiterata nel tempo può portare a gravi compromissioni del sistema nervoso e, nei casi più estremi, anche alla morte. Risulta dunque essenziale chiarire gli effetti delle spice drugs.
Nella pagina dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie dedicata alle nuove dipendenze si legge che “Gli effetti che vengono comunemente riportati sono simili a quelli provocati dall’assunzione di marijuana: sensazione di rilassamento, alterazione della percezione e dell’umore (senso di euforia o stato depressivo), manifestazioni psicotiche. Queste ultime possono comprendere comportamenti bizzarri, stati di ansia, paranoia e allucinazioni. In aggiunta, è stato dimostrato che le spice drugs possono provocare: l’aumento della pressione sanguigna, danni epatici, l’inibizione del normale flusso ematico. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che i cannabinoidi sintetici hanno un rischio di dipendenza maggiore rispetto alla marijuana, dovuto alla rapidità con cui si sviluppa la tolleranza“.
DIPENDENZA: LA TERZA VIA DI “USCITA”
Ecco la principale differenza rispetto al vecchio modo di concepire le dipendenze e gli stupefacenti risalente agli anni ’80 e ’90, al quale generazioni come la mia, quella dei sessantenni, ma anche quella dei cinquantenni, sono stati abituati. Cosa accade a chi cade nella dipendenza? Allora, in quegli anni, la consapevolezza era “morire o uscirne”. Oggi c’è una terza terribile via: perdere il senno.
Le nuove droghe ad alta dipendenza conducono a danni cerebrali, fisici e soprattutto del comportamento che, a lungo andare, ma anche in meno tempo di quanto si possa pensare, producono patologie psichiatriche importanti ed irreversibili. Ogni fumata di crack o di spice è come un vero e proprio pugno al cervello. Una distruzione di cellule cerebrali che non si rigenerano più, variazioni del percorso elettrico neurale che si traducono in disturbi della personalità caratterizzati da attacchi psicotici anche violenti, fino anche alla schizofrenia.
La “spiceophrenia”
Scrive sempre a tal proposito lo Studio delle Psicoterapie “Un fenomeno peculiare è rappresentato dalla “spiceophrenia”, coniato dalla congiunzione di spice e schizophrenia, cioè una sindrome psicopatologia caratterizzata da deliri e allucinazioni (simile alla classica manifestazione della schizofrenia). La comparsa di tale condizione è associata in particolar modo ai soggetti che fanno uso di cannabinoidi sintetici piuttosto che di origine naturale”.
La principale causa di spiceophrenia è stata riscontrata nell’assenza di composti modulanti all’interno delle spice drugs. Questo comporterebbe un maggiore rischio di sviluppare una psicosi anche in soggetti che non presentano alcuna predisposizione o vulnerabilità. Inoltre, successivamente allo sviluppo della patologia, alcuni studi dimostrano che i sintomi permangono nonostante l’assunzione della sostanza venga interrotta“.
QUANTO NE SANNO I GIOVANI E QUANTO FACCIAMO PER INFORMARLI
Ma quanto ne sanno di tutto questo i nostri ragazzi? Sono consapevoli di cosa a cui vanno incontro? O vale solo la logica della frenesia dello sballo divenendo potenziali zombi in mano di spacciatori senza scrupoli a loro volta in mano ai grossisti che non si sporcano le mani con la disperazione di giovanissimi e delle loro famiglie?
L’alea di inferenza della droga sintetica e di sostanze micidiali come il crack non si avvantaggia più del disagio sociale. Il crack, molto diverso dalla cocaina intesa sempre come “la più costosa” e quindi come “roba da ricchi”, non alberga più nei quartieri disagiati, non più nelle famiglie a basso o senza reddito. Il consumo di crack e quindi la dipendenza senza appello si è allargato a macchia d’olio, investendo tutte le categorie sociali, dalle famiglie senza reddito, visto anche il basso costo, fino a quelle benestanti. Quest’ultime, inoltre, costituiscono “i migliori clienti” di chi spaccia in quanto la dipendenza da crack e da spice comporta l’annullamento di ogni limite, il disconoscimento di ogni affetto e valore familiare, la cancellazione radicale di ogni sentimento.
Valori, sentimento, limite che si fondono in un’unica ossessione: la sostanza. Per cui crack ed anche spice, la dipendenza ossessiva che ne comporta l’uso, diviene vettore insostituibile, passepartout per accedere con facilità a patrimoni familiari, dalla semplice cameretta svuotata, alla tv del salotto fino ai gioielli di famiglia che si trasformano di buon grado in dosi di veleno.
C’E’ BISOGNO DI INFORMARE E DI ABBATTERE L’INERZIA IGNORANTE: “A ME NON CAPITERA’ MAI”
I giornalisti, chi più chi meno (ma c’è anche chi proprio per nulla), da tempo parlano a Messina di emergenza droga, emergenza crack e oggi anche spice. Ogni richiamo, forse anche questo articolo, con grande e ineluttabile probabilità, è caduto nel nulla, nella totale indifferenza dettata dalla ingenua certezza, quasi scaramantica, dello stupido assunto che “a me e alla mia famiglia non accadrà mai”. Molti di questi convincimenti si frantumano poi in una realtà drammatica che esplode in casa senza preavviso ed in tutta la sua virulenza. A quel punto la scaramantica certezza di “invulnerabilità” senza alcun fondamento, cade e si trasforma in disorientamento disperato, nell’incapacità di affrontare il problema poichè non si sa nemmeno con cosa e con chi si ha a che fare. E di aiuti istituzionali in questa città non ce n’è molti.
Serve tanta informazione. A partire dalle scuole per finire alle famiglie, passando per l’amministrazione comunale che fino ad ora, come quasi tutte quelle passate, ha ignorato, sottovalutato, scaramanticamente negato l’emergenza, senza occuparsene minimamente. Non sono state investite risorse, non se ne parla abbastanza, quasi come il tema della dipendenza sia tabù o quasi come fosse contagioso che solo a trattarlo possa appiccicarsi addosso. Non è sufficientemente all’ordine del giorno nelle scuole, nelle famiglie si traduce il più delle volte in raccomandazioni o controlli che si basano sull’ignoranza del tema, frutto anche dell’incapace assistenza di chi dovrebbe fornire informazioni specifiche a famiglie, quelle messinesi, che riducono la dipendenza ad un “fatto altro” che non gli appartiene, che, anzi, “è vergogna da tenere lontana o di cui non parlarne” fino a non chiedere aiuto. E poi c’è il Fentanyl…
Arriva il Fentanyl? O è già arrivato?
“Lo chiamano “la droga degli zombie” perché può trasformare chi lo assume in “un morto che cammina”. Ma anche “Dragon’s Breath”, “White Girl”, “Dance Fever”, “Tango & Cash,” “Persiano bianco” o “trip di carta”. Il Fentanyl, nato come farmaco usato nella terapia del dolore ma dilagato come sostanza utilizzata in modo improprio o illegale, negli Stati Uniti sta causando una strage silenziosa: tra la fine degli anni Novanta e il 2022 ha provocato quasi un milione di overdose letali“. Lo scrive l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri ad aprile di quest’anno. Una definizione terribile e senza sconti che ne definisce tutto il rischio derivante da una sostanza letale solo a maneggiarla. Diffusissima negli USA ma anche in Italia è una delle prime cause di morte nelle dipendenze. L’Istituto Mario Negri, sempre ad aprile, scrive “In Europa non esiste ancora un’emergenza, anche se sono sempre di più i segnali di circolazione di questa sostanza”.
Ma cos’è il FENTANYL
È un farmaco che appartiene alla categoria degli oppioidi – stessa famiglia dell’eroina e della morfina – di cui però è molto più potente: “100 volte più potente della morfina e 50 volte più potente dell’eroina”, si legge sul sito della Drug Enforcement Administration (Dea), agenzia federale antidroga statunitense.
“Il Fentanyl – spiega Luca Pasina, responsabile del Laboratorio di Farmacologia Clinica e Appropriatezza Prescrittiva all’Istituto Mario Negri – viene normalmente utilizzato in medicina per il trattamento delle forme di dolore più importanti, come per esempio il dolore cronico di tipo oncologico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito questo farmaco nella lista dei farmaci essenziali per il dolore nei pazienti che hanno un tumore in stadio avanzato. Inoltre, siccome ha anche degli effetti sedativi molto importanti, viene utilizzato in clinica nell’induzione dell’anestesia” .
Tra gli effetti collaterali a breve termine ci sono nausea, vomito, stipsi e confusione mentale. L’abuso di Fentanyl può causare però anche degli effetti indesiderati importanti, a volte letali: “I recettori oppioidi che sono stimolati dal Fentanyl – sottolinea Pasina – sono infatti coinvolti anche nel controllo del respiro. La depressione respiratoria è la tipica causa di morte da sovradosaggio da oppioidi e anche da Fentanyl”. Secondo uno studio sul Fentanyl pubblicato nel settembre 2022 sulla rivista PNAS Nexus da un gruppo di ricercatori del Massachusetts General Hospital (MGH), test sull’attività elettrica del cervello condotti su 25 pazienti indicano che questo oppioide sintetico ferma la respirazione prima che si verifichino altri cambiamenti evidenti e prima che i pazienti perdano coscienza. Sono sufficienti appena 2-3 milligrammi per uccidere una persona provocandone il soffocamento.
Parallelamente al mercato legale, esiste un mercato illegale di questa sostanza, sempre più florido: le principali piazze di spaccio sono il dark web e il deep web, con tutti i loro raffinati meccanismi di occultamento. Una sostanza che nell’ambito della ricerca della “droga più potente” può invadere le strade dell’ingrosso della droga a Messina e delle altre città siciliane.
La dipendenza e la tolleranza si sviluppano velocemente dopo i primi giorni di utilizzo. Il tempo in cui sorgono dipende dalle dosi utilizzate e dalle caratteristiche dei soggetti. “Per questo nell’utilizzo che si fa in clinica quando si decide di interrompere il trattamento, sia nei pazienti che assumono l’analgesico da lungo termine che nei pazienti che lo assumono da breve termine, è sempre consigliabile una riduzione lenta e graduale del dosaggio, perché potrebbero insorgere dei sintomi da astinenza che possono comportare effetti come sudorazione, ansia, diarrea o anche dolori addominali molto forti” – conclude Luca Pasina.
In Italia e in Europa non c’è (ancora) un’emergenza Fentanyl. Probabilmente grazie alla disponibilità di cure mediche adeguate dedicate al trattamento del dolore e all’adozione di programmi di sostituzione degli oppiacei volti ad affrontare eventuali dipendenze. E forse anche grazie al monitoraggio continuo, basato ad esempio sul controllo delle acque reflue: in uno studio nazionale sui trend di consumo delle sostanze psicoattive “maggiori” condotto dal Laboratorio di Indicatori Epidemiologici Ambientali dell’Istituto Mario Negri diretto da Sara Castiglioni si evidenzia come questa sostanza non sia stata rilevata nei campioni delle 33 città italiane parte del monitoraggio.
Ma l’attenzione si sta alzando, soprattutto perché c’è un forte interesse della criminalità organizzata, che ha fiutato il business. Basti pensare che da 1kg di polvere di Fentanyl, che costa 10mila euro al mercato criminale, è possibile ricavare 1 milione di pillole che, vendute a 20 euro l’una fanno 20 milioni di euro. Tutte le mafie sono interessate a questo tipo di mercato con pochi rischi e molti guadagni. L’Europol e l’Interpol nel 2023 hanno già individuato in Europa circa 400 laboratori clandestini (alcuni anche in Italia) (fonte Istituto Mario Negri).
Con la testa sotto la sabbia…
Centododici arresti, di cui 85 in carcere. Questa è la misura del fenomeno DROGA a Messina. Numeri sui quali, se uniti a quelli del disagio minorile e di quelli dei casi in atto trattati dal Tribunale dei Minori che dimostrano quanto sia in evidente ed incontestabile affanno, è necessario riflettere perché sono prova inconfutabile dell’esigenza di agire prima che sia troppo tardi. Dati che se coniugati con quelli del numero degli operatori sociali a disposizione del Comune di Messina, con quelli di strutture di primo intervento come i SERD, come quelli di Messina Nord e Sud, con quelli della disoccupazione, della dispersione scolastica, quella VERA, con quelli dei disagi dei nuclei familiari, mostrano quanto la nostra città sia impreparata e culturalmente, stupidamente e pericolosamente refrattaria ad un problema a cui non è di certo immune. Emergenze come quelle di Milano, Roma, o della, più vicina a noi, Palermo con quartieri ghetto trasformati in enormi crack house, devono far scattare nelle nostre testoline e in quelle di chi amministra la cosa pubblica, quanto meno un flebile segnale d’allarme, che deve diventare tale da ridurre o meglio coniugare, quanto meno, l’impegno in vane futilità con quello impellente di destinare fondi e tempo ad un futuro migliore, più sano e sicuro per la nostra risorsa più importante: i giovani.
Come ha detto oggi il Papa “Chi spaccia droga è un assassino”, ma chi volge la testa dall’altra parte è complice.