I Carabinieri della Compagnia di Taormina hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Messina, su conforme richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di un 48enne e un 80enne, residenti in provincia di Catania, quest’ultimo già condannato in via definitiva per il reato di associazione di tipo mafioso, ritenuti entrambi responsabili del reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
L’operazione è il risultato di un’attività investigativa coordinata dalla DDA della Procura di Messina e condotta dai Carabinieri dell’Aliquota Operativa della Compagnia di Taormina e delle Stazioni di Sant’Alessio Siculo e Roccella Valdemone (ME). L’indagine è stata avviata alla fine dello scorso anno, subito dopo la presentazione di una denuncia presso la caserma dei Carabinieri di Sant’Alessio Siculo, da parte di un imprenditore residente in un paese della fascia jonica della provincia messinese, il quale aveva riferito di essere sotto estorsione. Gli accertamenti condotti hanno permesso di riscontrare quanto dichiarato dal denunciante e di raccogliere gravi indizi di colpevolezza nei confronti dei due arrestati in ordine ai reati loro contestati.
In particolare, dall’indagine è emerso che gli indagati, dal 2019, avrebbero dapprima costretto l’imprenditore, che in passato gestiva una catena di supermercati nella provincia etnea, a rifornirsi di carne presso un’azienda per la quale lavoravano come rappresentanti, in modo da potersi garantire provvigioni sicure. In un secondo momento, anche dopo la cessazione dell’attività imprenditoriale della vittima, il 48enne e l’80enne, evocando l’appartenenza di quest’ultimo al clan mafioso dei Laudani, avrebbero iniziato a pretendere delle somme di denaro contante, vantando il pagamento di un presunto debito, in realtà non giustificato.
Come documentato dagli investigatori, i due indagati si sarebbero recati più volte presso l’abitazione della vittima, spesso in prossimità delle festività, per estorcerle somme di denaro, dietro la minaccia di un pericolo dell’incolumità dell’imprenditore e dei familiari o del danneggiamento dei loro beni, come la casa e l’automobile. In alcuni casi le consegne del denaro erano avvenute anche a Catania e, in una circostanza, la vittima sarebbe stata costretta addirittura a recapitare il denaro richiesto presso l’abitazione di uno degli indagati, mentre costui era ristretto agli arresti domiciliari per reati analoghi.
Nel corso dell’attività investigativa è emerso un interesse spasmodico degli indagati di riscuotere le somme ingiustamente pretese, anche attraverso diversi appostamenti e messaggi minatori, tanto che gli stessi avrebbero monitorato anche i profili social della moglie della vittima e avrebbero cercato di entrare in contatto con lei, al fine di indurla a convincere il marito a versare le somme richieste.
Sulla scorta di quanto accertato, i due indagati avrebbero estorto complessivamente una somma di circa 6.000 euro, oltre a quanto ricevuto dall’imprenditore come corrispettivo delle singole forniture di carne.
Nei confronti dell’80enne è contestato anche il reato di falsa attestazione sull’identità, in quanto, per portare a termine il suo proposito criminoso, si sarebbe recato presso gli uffici del Comune ove abita l’imprenditore e, fingendosi avvocato, si sarebbe fatto consegnare un certificato di residenza della vittima, in modo da reperire l’esatto numero civico della sua dimora.
Ultimate le formalità, i due sono stati ristretti in carcere, a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Quanto sopra, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito e nel rispetto dei diritti degli indagati, che, in considerazione dell’attuale fase delle indagini preliminari, sono da presumersi innocenti fino alla sentenza irrevocabile che ne accerti le responsabilità e con la precisazione che il giudizio, che si svolgerà in contraddittorio con le parti e le difese davanti al giudice terzo ed imparziale, potrà concludersi anche con la prova dell’assenza di ogni forma di responsabilità in capo agli stessi indagati.
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