Il datore di lavoro è tenuto alla riscossione delle quote associative sindacali del lavoratore e se non lo fa si configura un comportamento antisindacale.
E’ quanto stabilito, in sintesi, dalla sezione lavoro della Corte di Appello di Messina che ha confermato la decisione di primo grado contro Rete ferroviaria italiana (Rfi) cioè, appunto, la cessazione del comportamento antisindacale.
Nello specifico il dipendente è iscritto alla Cub Trasporti.
Nelle motivazioni della sentenza (resa nota a Milano dal sindacato) richiamandosi alla Cassazione si legge, tra l’altro – in relazione al giudizio di primo grado confermato – che il referendum del 1995 e la norma successiva non hanno “determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, ma soltanto il venir meno del relativo obbligo sicché i lavoratori potevano richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato di appartenenza”. “Tali richieste – è ancora scritto – erano da qualificarsi come cessioni del credito come tale non necessitanti in via generale del consenso del debitore per cui il rifiuto del datore senza giustificazione di effettuare il versamento configurava un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituiva anche condotta antisindacale”.
“Un altro scoglio – spiega l’avvocato Salvatore Iannello che ha patrocinato la causa – era la tesi di Rfi che il sindacato non avesse rilevanza nazionale, ma la Cub Trasporti ha dimostrato il contrario”.
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