Carmen, cinque figli di cui uno diabetico grave ed un marito cardiopatico, non è nuova alla cronaca messinese. La signora è ospitata ormai da anni presso gli alloggi di transito del Comune di Messina e gestiti dalla Messina Social City. Periodicamente la disperazione di Carmen diventa insostenibile e torna a chiamare i giornalisti, ma fino ad ora non con l’esito sperato. “Ho bisogno di una casa che sia decente, che non siano queste quattro mura dove accade di tutto, dove è impossibile vivere con un ragazzino di 15 anni diabetico, con un marito cardiopatico” urla piangendo Carmen.
“Sono disperata nessuno mi ascolta. L’assessore Calafiore conosce la mia situazione, a suo tempo ne ho parlato anche con l’avvocato Scurria quando era in Arismé. Le case ci sono – dice Carmen – tante case chiuse ma per noi non c’è mai una soluzione. Il problema qui sono le infiltrazioni d’acqua, visto che quando piove il corridoio della struttura è un colabrodo ed abbiamo i secchi che raccolgono l’acqua che entra. Il cibo è spesso indecente, a volte scaduto. Abbiamo fatto presente tutto all’assistente sociale Chiara che ha riferito all’assessorato. Ma non cambia nulla“.
La disperazione di Carmen stamattina è montata ancora di più all’arrivo di due volanti della Polizia di Stato. “Succede sempre di tutto qui. Stamattina la Polizia è intervenuta per un residente che non vuole lasciare la casa per andare al dormitorio. Per i miei figli e per mio marito vedere la Polizia che quasi ti cammina in casa non è il miglior risveglio possibile per la mia famiglia. Abbiamo bisogno di una vita normale” urla singhiozzando Carmen.
Nello spazio antistante l’ingresso degli alloggi di transito c’è anche la Polizia Municipale che dialoga con il residente che non vuole andarsene: “Dove devo andarmene dopo quattro anni? Al dormitorio? Io non mi muovo di qui e che nessuno tocchi le mie cose!” urla. “Ma le hanno mai offerto una sistemazione diversa?” chiedo – “Si a Castanea ma non ci sono voluto andare” ammette candidamente. E qualcuno a fianco mi riferisce che “anche a Provinciale gli avevano offerto un alloggio”. Allora mi domando perché restare qui? “E’ un sistema di vita” mi dice qualcuno sottovoce. Una casa significa bollette, condominio, fare la spesa, tutte incombenze che senza un lavoro come fai ad affrontarle, con una pensione sociale sarebbe costretto a soccombere.
“Qui nessuno può parlare o lamentarsi” mi racconta in disparte un altro residente, anche lui in età di pensione. “Se ti lamenti o alzi la voce arrivano i bodyguard con la scritta sicurezza e cominciano a camminare avanti e indietro per i corridoi. Mi chiedo allora se sono ancora in carcere…” confessa l’uomo.
Le storie sono tante e per nulla in transito in questi alloggi. Sono storie di uomini, donne e bambini. DI scelte sbagliate e di conti da pagare. Di richieste di aiuto che, secondo loro, non sono minimamente ascoltate e che “se alzi la voce” arriva la sicurezza.