di Giuseppe Bevacqua
Non bastano i 500 anni di storia ed anche più della Vara di Messina per sollecitare le varie amministrazioni che si sono succedute, compresa quella attuale, a far decidere di mettere in primo piano quello che è di certo l’evento più importante dell’agosto messinese, se non di un intero anno. Se dall’Assessorato regionale al Turismo, per bocca del suo assessore, messinese doc, Elvira Amata giungono segnali chiari di necessità di promuovere anche all’estero le attività e le manifestazioni tipiche e più significative dell’Isola, da Palazzo Zanca, in assoluta controtendenza si assiste, invece, al solito ed incessante declino di impegno.
L’evento della Vara è andato sempre più calando di interesse per le varie amministrazioni? E’ una verità che traspare dai fondi che ogni anno si impegnano e che dai 45 mila euro diretti del Comune di Messina, arrivano fino a circa 80 mila con sponsor e pagamenti di attività accessorie come i tradizionali fuochi di artificio.
Ma il cuore di Messina continua innegabilmente a battere con la machina votiva, che magari avrebbe bisogno di maggiore cura e restauro. Attività che probabilmente è in corso di svolgimento ma che, puntualmente, si svolge solo in prossimità dell’evento. E le voci sulla integrità della struttura non sono confortanti. Ma sono solo voci e pertanto non hanno costituzione di notizia e per tali, quindi, vanno prese: voci.
Quel che dovrebbe far discutere, invece, e che dovrebbe a tratti, tra sprazzi di consapevolezza mista a raro orgoglio messinese, far indignare è che l’Amministrazione comunale se da un lato lancia un’estate 2023, come qualcuno titola, con una vetrina “ricca” di eventi, già peraltro contestata da alcune circoscrizioni, lasciate ai margini, se si sbandiera una Messina “degli eventi” e “della rinascita”, dall’altro si continua a non valorizzare, al netto del solito Don Giovanni d’Austria e del suo sempre più consueto sbarco, l’evento storico più importante di Messina. Anzi l’evento che, con il Festino di Palermo e con la Sant’Agata di Catania, meglio caratterizza i valori, le tradizioni, la storia vera siciliana.
Il cruccio non è per i soldi impegnati, pochi e sempre gli stessi, senza alcun slancio, anche qui, di orgoglio messinese, ma per la ormai tradizionale, ahimè, perdita dell’ennesima occasione di promozione anche all’estero di un evento che se pubblicizzato a tempo debito porterebbe di certo turismo non solo siciliano con vantaggio indubbio per un indotto messinese, della ristorazione e della ricettività, più che a tratti asfittico. Eppure si è speso almeno quattro volte di più per il palco di Capo Peloro e per il transennamento (quasi 150 mila euro per il primo e 60 mila per il secondo). E chissà per il Tezenis e quanto per RDS… Tutti valori dei quali sicuramente si troverà traccia tra le carte ufficiali ed alle quali un silente consiglio comunale non chiede, e non ha chiesto finora, di accedere.
Insomma: possedere una manifestazione come questa, quella della Vara di Messina, con i suoi tanto decantati e ricordati “oltre 5 secoli di storia”, che mette in mostra la città in tutti i suoi aspetti, la devozione, la fede ed anche tanto altro, e non fare più del dovuto e del consueto per portarla a termine, equivale a compiere un rito annuale che sa di pratica da evadere, affinchè anche per quest’anno non ci si pensi più. E al diavolo le opportunità e tutto ciò che ne potrebbe guadagnare Messina e con lei (noi), la Sicilia. Un peccato capitale.
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