Dall’aria condizionata alla cassa integrazione ordinaria oltre i 35°C: tutto quello che il datore di lavoro è tenuto a fare per ridurre i rischi per la salute
Il caldo record di questi giorni in Italia mette a serio rischio la salute di alcuni lavoratori, con i datori che devono fare il possibile per garantire il rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro. Anche le elevate temperature, infatti, possono rappresentare un fattore di rischio, come purtroppo raccontano alcuni fatti di cronaca di questi ultimi giorni, con colpi di calore che si sono rivelati fatali per alcuni lavoratori impiegati sotto il sole.
Per questo motivo l’azienda deve fare il possibile per mettere in condizione il dipendente di poter lavorare senza rischiare alcunché: ad esempio montando l’aria condizionata in quei luoghi di lavoro in cui non basta aprire le finestre per assicurare aria salubre a sufficienza, o comunque facendosi carico dell’acquisto, e della consegna ai lavoratori che ne necessitano, dei dispositivi di protezione individuale.
E, come fa sapere l’Ispettorato del Lavoro, laddove le misure di prevenzione non siano sufficienti a ridurre i rischi provocati dal gran caldo, si dovrebbe prendere in considerazione anche l’idea di modificare l’orario di lavoro, sospendendo le attività che prevedono un’elevata esposizione al calore perlomeno nella fascia oraria 14:00-17:00.
D’altronde, come ci ricorda Money.it, nel caso in cui il troppo caldo impedisse all’azienda di svolgere le proprie attività, specialmente in presenza di temperature superiori ai 35 gradi, è possibile fare richiesta all’Inps di cassa integrazione ordinaria, ma solo per coloro che svolgono mansioni in luoghi in cui non è possibile proteggersi dal sole o che comunque comportano l’utilizzo di materiale o lo svolgimento di lavorazioni che non sopportano il forte calore.
IL NUOVO PROTOCOLLO
Per contrastare effetti e rischi del caldo record anche nei posti di lavoro, il governo studia una rimodulazione dei tempi e degli orari, pause più frequenti e interruzione nei casi estremi quando il rischio è molto alto per tutelare soprattutto i lavoratori over 65, quelli con patologie croniche, chi assume particolari farmaci, chi denuncia un’alterazione dei meccanismi fisiologici di termoregolazione e per le lavoratrici in gravidanza. E’ questa, secondo una bozza di Protocollo inviata a sindacati e datori di lavoro, la strategia a cui sta lavorando il ministro Marina Calderone “per eliminare o, quando non sia possibile, ridurre l’esposizione diretta dei lavoratori alle alte temperature o percepite tali” nei luoghi di lavoro, che per oggi ha riconvocato il tavolo con le parti sociali.
Un protocollo che intende fornire “indicazioni operative” per gestire i rischi determinati da attività, in condizioni climatiche non “adeguate”, in una “logica preventiva e non solo in occasione dell’evento: una sorta di “guida nelle scelte tecnico/organizzative da compiere anche per gli anni futuri e non solo per l’attuale emergenza stagionale“, si legge nel documento del governo da declinare in singoli “protocolli aziendali” nei diversi contesti lavorativi con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del rappresentate dei lavoratori per la sicurezza e, quando non previste, quelle territoriali. Ad essere tutelati anche i cosidetti lavoratori “indoor”, per i quali, si legge, non è possibile coniugare la produzione con un sistema di aerazione condizionato, dal cantiere alla macellazione delle carni, dalla panificazione industriale agli altoforni.
I datori di lavoro, “unitamente alle possibilità di ricorrere al lavoro agile o da remoto, e agli ammortizzatori sociali previsti dal decreto legislativo 81“, sono chiamati ad “adeguare gli attuali modelli organizzativi alle esigenze di contenimento dei rischi derivanti dall’esposizione ad alte temperature, a quelle percepite tali, e a ondate di calore“.
Nessuna indicazione però che dettagli quale sia la temperatura che farebbe scattare l'”ondata di calore, temperature alte o percepite tali” previste dal protocollo, né alcuna indicazione operativa sulla cigo o lo smart working. Il documento infatti rinvia tutte queste opzioni a quanto già previsto dalla legge 81: “Unitamente alle possibilità di ricorrere al lavoro agile o da remoto, e agli ammortizzatori sociali previsti dal decreto legislativo 81“, si legge, i datori di lavoro sono chiamati ad “adeguare gli attuali modelli organizzativi alle esigenze di contenimento dei rischi derivanti dall’esposizione ad alte temperature, a quelle percepite tali, e a ondate di calore”. Proprio quegli strumenti che invece invocano a gran voce i sindacati, ieri tornati in pressing sul governo.
“C’è un problema di emergenza immediata che per noi vuol dire Cigo e fissare un tetto di temperature oltre il quale non è possibile lavorare. Poi successivamente ci potrebbe anche essere un confronto più dettagliato. Spero non si tratti di un semplice richiamo a vedere come affrontare il problema, siamo già in ritardo, serve un intervento che metta immediatamente a disposizione gli strumenti di intervento. Per tutti, dai lavoratori a termine agli stagionali e in ogni dimensione di impresa“, spiega il leader Cgil, Maurizio Landini che guarda al famoso protocollo Covid come ad uno strumento da replicare. “Diceva una cosa precisa: che le imprese che non erano in grado di rispettare le condizioni di tutela e sicurezza non potevano lavorare e c’era lo strumento della cig, usata per tutelare i lavoratori ma anche per dare alle aziende il tempo di mettersi in regola. Non vorrei invece che fosse un Protocollo talmente generico da non affrontare i temi“, prosegue.
Un richiamo, questo, condiviso anche dal leader Cisl, Luigi Sbarra che da Facebook parla di una “urgente e necessaria intesa da recepire in un decreto nel solco dei protocolli sulla sicurezza attivati durante il Covid” chiedendo una Cigo anche sotto i 35 gradi e Dpi specifici. In pressing anche la Uil. “C’è la necessità di un intervento immediato. Quando abbiamo firmato il Protocollo per il Covid il giorno dopo diventò Dpcm: noi non abbiamo capito se la ministra abbia queste intenzioni. E, poi, quali norme inseriamo nel Protocollo? Perché ricordo che c’è già una norma che prevede che a 35 gradi le aziende possano fare richiesta di cassa integrazione. Il tema è diverso: quando si arriva a quella temperatura chi chiede la cassa integrazione? Chi blocca i lavori? Nel frattempo, i lavoratori stanno per strada o nei campi e, dunque, sarebbe bene dare un indirizzo omogeneo“, conclude il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri.
In campo, ieri, anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. “Il tema c’è, va affrontato con grande serietà e noi siamo disponibili al confronto perché riteniamo che la salute dei lavoratori sia un bene primario da tutelare“, spiegava ad un’iniziativa di Confindustria Sicilia bacchettando però governo e sindacati sul tema dei morti sul lavoro. “Abbiamo proposto di fare comitati paritari interni alle imprese, tra datori di lavoro e lavoratori, per intervenire ex ante sugli incidenti. A me va bene l’aumento delle pene, ma è sempre dopo: io è da tre anni che sto aspettando che legislatore, governo e sindacati rispondano a questa proposta. Dovrebbe essere interesse di tutti intervenire ex ante. Venite al tavolo e spiegatemi perché non si vuole fare, qual è il problema?. Sembra che alla salute ci pensino solo gli imprenditori“, concludeva.
Una revisione dei piani di lavoro “per eliminare o, quando non possibile, ridurre l’esposizione diretta dei lavoratori alle alte temperature o percepite tali” che prevede: la riprogrammazione in giorni con condizioni meteo-climatiche più favorevoli le attività non prioritarie e da svolgersi all’aperto; la pianificazione delle attività che richiedono un maggior sforzo fisico durante i momenti più freschi della giornata; l’alternanza dei turni; interruzione del lavoro in casi estremi quando il rischio è molto alto; variazione di inizio lavori”. E’ questo, in sintesi, a quanto si apprende, quello che prevede la bozza di “Protocollo condiviso per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi da esposizione ad alte temperature negli ambienti di lavoro” che il ministro del Lavoro, Marina Calderone si appresta a mettere sul tavolo del confronto con le parti sociali, nel round previsto per oggi.
Una riorganizzazione che si baserà sulla valutazione di una serie di rischi legati all’attività lavorativa: colpo di sole, crampi da calore, esaurimento da calore, colpo di calore soprattutto per lavoratori over 65, per quelli con patologie croniche, per chi assuma particolari farmaci, per chi denuncia alterazione dei meccanismi fisiologici di termoregolazione, per le lavoratrici in gravidanza”. Un protocollo che sarà declinato in singoli protocolli aziendali nei diversi contesti lavorativi con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del rappresentate dei lavoratori per la sicurezza e, quando non previste, quelle territoriali.
Il disegno messo a punto dal governo, si legge ancora, mira a fornire “indicazioni operative” per gestire i rischi determinati da attività in condizioni climatiche non “adeguate” in una “logica preventiva e non solo in occasione dell’evento: una sorta di “guida nelle scelte tecnico/organizzative da compiere anche per gli anni futuri e non solo per l’attuale emergenza stagionale“. Alla luce degli scenari di cambiamento climatico, d’altra parte, annota ancora la bozza di Protocollo, “si considera la protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza connessi alle alte temperature, come una priorità“.
Ad essere inclusi nel Protocollo e dunque anche nei conseguenti accordi aziendali, anche i cosidetti lavoratori “indoor”, per i quali, si legge, non è possibile coniugare la produzione con un sistema di aerazione condizionato, dal cantiere alla macellazione delle carni, dalla panificazione industriale agli altoforni. All’interno della revisione dei piani di lavoro trovano spazio anche nuovi criteri di pausa dal lavoro che dovranno essere “frequenti” e per quanto possibile in aree completamente ombreggiate o climatizzate.
A sorvegliare il rischio per i lavoratori sarà il medico competente aziendale che “darà indicazioni al lavoratore e al datore di lavoro “sulla possibilità di poter sostenere l’esposizione al calore” in conseguenza delle quali i lavoratori a rischio” dovranno essere impiegati in attività più leggere e con maggiori pause”.
Sempre in una ottica di prevenzione il Protocollo fornisce una serie di indicazioni ai datori di lavoro, anche sulla necessità di idratazione dei lavoratori e sui dispositivi di protezione, abbigliamento traspirante, copricapo e su specifica prescrizione del medico competente, anche creme solari ad alta protezione.
ADNKRONOS
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