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Commercio locale e Pubbli Social fai da te: ecco come clienti e negozi stanno annientando l’economia circolare locale. L’esempio di Laura e Matteo.

- 02/05/2023

Laura, nome di fantasia, ha appena concluso un acquisto on line, diciamo su Amazon. E’ una piattaforma di cui si fida come la maggior parte delle persone che la usano.

Laura ha scelto di acquistare on line per vari motivi: prodotto non disponibile nella sua città, prezzo migliore, comodità, necessità di spedirlo ad un parente fuori città, altro. Ma un dubbio a Laura rimane: l’impossibilità di vedere e toccare con mano è un’handicap che non si risolverà mai del tutto e che impensierisce la maggior parte degli acquirenti sulle maggiori piattaforme di ecommerce internazionali.

I SOLDI CHE VANNO FUORI PORTA

In ogni caso Laura però, ha fatto il suo acquisto ed i suoi soldi vanno nelle casse di una piattaforma estera. Sono risorse finanziarie che lasciano il sistema economico della sua città per andare, nel caso di Amazon, a Seattle, nello stato di Washington. I suoi soldi si trasformeranno, al netto del costo del prodotto (concorrenziale per chi li compra in stock immensi come Amazon), in risorse finanziarie per il colosso americano con le quali magari ci pagherà gli stipendi del personale: insomma i soldi di Laura, siciliana, di Messina, andranno nella busta paga di un dipendente americano di Seattle, o di uno del centro di stoccaggio italiano di Bologna. Di certo da Messina, dalla Sicilia, sono andati via.

Così anche se oltre la metà di chi fa shopping online è deluso dal post acquisto, come scrive la ricerca diffusa da Unguess, anche se il 56% dei clienti afferma di essere deluso dal servizio che riceve dopo l’acquisto su un eCommerce – dalle comunicazioni sullo stato dell’ordine alla customer care, dal tracking fino alla consegna – mentre solo il 17% dei clienti crede che le aziende si impegnino davvero per l’esperienza post-acquisto dell’utente, il circolo virtuoso di una cittadina, di una regione, si è rotto e la sua economia è più povera.

LA SCELTA DI SPENDERE IN CITTA’: ECONOMIA CIRCOLARE

Se infatti Laura avesse scelto di acquistare presso il negozio in centro, nella sua città, i suoi soldi sarebbero serviti a quell’impresa locale per riacquistare merce, pagare le tasse (troppe) o magari acquistare prodotti personali per l’imprenditore o, ancora pagare parte dello stipendio dei dipendenti che poi, a loro volta avrebbero speso il proprio denaro sempre all’interno della propria città. Insomma se i soldi vanno via, in Sicilia, a Messina, difficilmente ci tornano.

ACQUISTI ON LINE: L’EFFETTO PANDEMIA

In più c’è da considerare che Laura, con la pandemia, ha avuto tempo e necessità per imparare e per abituarsi ad usare le piattaforme on line, a discapito dell’economia locale. E gli effetti si sono visti subito: in Italia i piccoli negozi rappresentano una trama non solo commerciale, ma anche un presidio sociale di centri delle città e piccoli paesi. Le grandi piattaforme distributive e delle vendite online ne ha cambiato ormai radicalmente l’assetto. L’impatto è facilmente dimostrato dal ricambio veloce dei negozi nei centri storici: continue chiusure di botteghe e sostituzione con altre in franchising. Un sistema che innesca preoccupazione e panico per chi ogni giorno deve alzare la saracinesca, affrontare i costi fissi, sostenere quelli variabili e farli quadrare, riuscendo a “camparci”… Un’impresa titanica.

Il danno però è destinato ad aumentare.

Infatti, in una situazione di crisi endemica come quella prospettata e di emorragia di risorse finanziarie dall’economia circolare, la prima scelta dei piccoli commercianti è quella di tagliare i costi. E qual è il primo costo soggetto alla ghigliottina impanicata del piccolo imprenditore di vicinato? Ovviamente la pubblicità.

LA DISCUTIBILE SCELTA “SOCIAL”

Sempre più commercianti hanno scelto di intraprendere la non facile strada della autopromozione sui social. Un mondo questo che i più, specie dopo la pandemia, credono di conoscere a fondo.

Così Matteo, nome anche questo di fantasia, commerciante del centro, dice che “da quando investo in pubblicità su Facebook, spendo la metà”. Un dato che di certo può corrispondere ma che, come investimento pubblicitario, deve rispondere anche ad altri requisiti: uno su tutti la redemption. Ovvero: quanti clienti hanno risposto concretamente al mio messaggio pubblicitario? Quanti di loro sono venuti in negozio ad acquistare? Quanto ho guadagnato sul costo pubblicitario sostenuto? E Matteo sa rispondere a tutto questo? Non sempre. Eppure la “moda” del “faidate” sui social imperversa e penalizza altre imprese locali. Per carità, i social sono una scelta ottima se pianificata e tenuta sotto controllo con continuità da chi è specializzato in questo settore. Sono una scelta, inoltre, accessoria e di lungo periodo, che deve essere affiancata ad altri mezzi pubblicitari. Ricordiamoci che con i like non si mangia…

QUALE DIFFERENZA TRA LAURA E MATTEO?

E allora la domanda, l’ultima e la più importante, è: che differenza c’è tra Laura che acquista on line e dirotta i propri acquisti su Amazon e Matteo che affida i suoi investimenti su Facebook, a Menlo Park, in California? Nessuna. Ambedue stanno sottraendo fondi all’economia circolare.

Se Laura sta incrementando il rischio di far chiudere le aziende cittadine, anche le stesse aziende della città stanno facendo la medesima cosa, contro sé stesse. Perché quel, chiamiamolo, investimento (i cui risultati vengono certificati dallo stesso che prende i soldi e che ha tutto l’interesse di far credere che sia un investimento fruttuoso, tipo… oste com’è il vino?) sottrae denaro ad un’economia circolare locale con sistematicità. Risorse, soldi, che il commerciante non rivedrà mai più di rientro sotto forma di acquisti. E che Laura avrà in meno di stipendio… se dovesse lavorare per Matteo.