Il cane di una ragazza sta per morire. Ha una torsione gastrica. La famiglia corre dal veterinario: la richiesta per l’intervento è di 1.500 euro. Somma che la famiglia non ha. Propone di dilazionare il pagamento ma la struttura rifiuta.
Corsa in un altro studio: stessa situazione. Dopo ore e un appello sui social una clinica accetta di fornire le cure. Ma ormai è tardi, il cane, una femmina di 13 anni muore durante il trasporto tra spasmi e dolori.
E’ la storia di Kira e della sua proprietaria M., una ragazza di 16 anni, che sta rimbalzando sui social e attirando anche l’attenzione di molti attivisti. Le associazioni Attivisti Gruppo Randagio, Earth e Alta Spa denunciano, per conto di Alleanza Animalista questa “intollerabile storia soprattutto in una regione, la Sicilia, dove il problema del randagismo ha dimensioni rilevantissime”.
La ragazza racconta sui social: “Kira purtroppo ci ha lasciati ieri sera. Kira è stato un regalo da mio fratello per tutta la famiglia ma soprattutto per me che sono la figlia più piccola e quindi ero sempre sola. Abbiamo creato un legame fortissimo: è stata la mia compagna di vita per 13 anni e questo non lo potrò mai dimenticare. Ma non potrò mai nemmeno dimenticare che queste cliniche che dovrebbero essere i salvatori dei nostri compagni di vita abbiano fatto morire la mia migliore amica. Qualcuno è riuscito a separarci. Io non voglio niente, voglio solo dire due parole a tutte le cliniche: non ci sono soldi o cose materiali più importanti e più belle dell’amore per un animale”.
“Rifiutarsi di prestare le prime cure ad un animale in pericolo di vita – afferma Massimo Vacchetta, veterinario direttore del “Centro Recupero Ricci La Ninna” – è omissione di soccorso e quindi perseguibile penalmente. Dal punto di vista etico è un gesto veramente deplorevole che toglie dignità alla nostra professione che non è un semplice lavoro ma una missione.
Vorrei esprimere tutta la mia solidarietà alla famiglia di Kira e chiedere ai miei colleghi che si sono rifiutati di soccorrere la cagnolina di provare per una volta ad immedesimarsi nel dolore degli altri”. (ANSA).
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