“Qualche mese fa mi ha telefonato una madre preoccupata per il figlio 15enne. Mi ha raccontato che il ragazzo prendeva allucinogeni e le aveva motivato questa scelta col fatto di aver letto numerosi articoli in cui c’era scritto che gli allucinogeni aumentano la plasticità cerebrale e vengono usati in modalità ‘microdosing'”, quantità piccole, “anche da persone importanti negli Usa. Aveva letto queste cose su Internet e poi era passato all’azione. Come capita con la cannabis, il messaggio che passa è: siccome queste sostanze possono essere terapeutiche, fanno bene e non male, e si costruisce una sorta di campagna alla fine della quale il prodotto va sul mercato e, se è legale o illegale, chi se ne frega“. Sono alcuni dei percorsi che portano verso il ‘mass market‘ della droga.
DOPO IL COVID E’ CAMBIATO TUTTO
Dopo il Covid “è cambiato tutto“, racconta all’Adnkronos Salute Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento area dipendenze dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, da anni al lavoro sul tema delle sostanze e delle dinamiche che portano al consumo. Per spiegare una di queste dinamiche parte dalla storia riportata dalla mamma di un adolescente. La pandemia ha ancora una volta inciso su scenari e meccanismi. “Anche il mercato delle droghe è molto cambiato: il ‘delivery’ delle sostanze è meglio organizzato di un tempo – evidenzia – Quando c’era il lockdown i venditori non potevano più” spacciare “nei luoghi di aggregazione, quindi si sono organizzati, hanno perfezionato qualcosa che già c’era, un servizio che un tempo era per il cliente di un certo tipo, la persona socialmente inserita e disposta a pagare di più, che si serve in privato e non in una piazza di spaccio. Quel servizio è stato perfezionato e adesso è più esteso”.
LA RETE UN MARE DOVE PER UN PESCE CHE “PRENDI” CENTO NE PASSANO
Ed è poi “più facile acquistare prodotti in rete“, evidenzia Gatti. “E’ vero“, ammette, che sul web “c’è un lavoro di controllo e c’è il rischio che ti becchino. Però è anche vero che in un mare così grande di pesci ne passano cento“, per uno che si prende. “Contemporaneamente – aggiunge – notiamo che l’Europa sta diventando una destinazione sempre più importante di sostanze, è invasa da droghe e altre ne arriveranno“.
IL CONSUMO DILAGANTE DI CRACK E L’AUTOCURA
“Da noi – rileva l’esperto – si sta diffondendo anche il consumo di crack. Una sostanza derivata dalla cocaina che ha un effetto devastante. Se non crolli fisicamente prima, il destino è un pericoloso stato di follia. Un incubo da cui è difficile uscire integri“.
Alcune dinamiche c’erano anche prima del Covid, riflette Gatti: “Dopo la pandemia va considerato anche l’impatto dell’insicurezza sociale per tante persone. Non sono più gli anni spensierati dei ‘boomer’. C’è una specie di scollamento che favorisce situazioni di autocura. Alcuni fenomeni come il ‘chem sex’ sono segno di questa grande insicurezza: anche per fare cose normalmente piacevoli si sente il bisogno di additivi. Alterarsi in questo periodo difficile ad alcuni sembra essere una risposta, ed è pericoloso. Si aprono falle a vantaggio di mercati che diventano sempre più aggressivi“.
Se “diminuiscono alcuni consumi e mode, attualmente tutto quello che può diventare sostanza psicoattiva – legale o illegale che sia – è potenzialmente oggetto di vendita e di consumo, legale o illegale che sia. Le persone sembrano improntate a fare questi consumi perché gli vengono proposti, non perché hanno bisogni particolari – continua Gatti – C’è chi lo fa per autocura, come detto, e c’è sempre l’emarginato e il deviato, ma il grosso dei consumi è di persone che pensano di fare un uso consapevole di qualcosa che gli piace e se la procurano. Quello che non è distribuito dal mercato illegale i ragazzi lo possono trovare anche in casa o sotto casa”.
“Adeguarsi ai mercati in una sorta di conformismo” è qualcosa che, osserva il medico, “paghiamo a caro prezzo“. I numeri parlano. Oggi “c’è tanta gente che va nei Sert“, i servizi per le tossicodipendenze. “A Milano avremo un giro di persone che più o meno che si aggira sulle 10mila all’anno. Sono numeri che non fanno capire però che cosa c’è dietro. Perché quando le persone arrivano ai nostri servizi hanno già dei grossi problemi. Fra i nuovi arrivi del 2022, i numeri preponderanti sono tra i 18 e i 44 anni ma poi ci sono anche over 65 e altri nella fascia fra 55-64. Vediamo anche età abbastanza giovanili: il gruppo 18-24 è ben rappresentato ed è leggermente superiore ai 25-34enni ma direi che le età sono le più varie, abbiamo dai ragazzini agli anziani“. E c’è chi osserva che si è abbassata l’età in cui si comincia con la dipendenza.
Gatti evidenzia che “un tempo il mercato degli stupefacenti vendeva a certe fasce di popolazione, ma il grosso ruotava intorno a quartieri a rischio, famiglie un po’ problematiche, persone un po’ devianti. Adesso non è più lì il cuore del problema: ci piace rappresentare i boschetti della droga, circondiamo le scuole di telecamere, ma in realtà il posto sicuro non c’è più“. Oggi “si può comprare dallo spacciatore, dall’amico che si mette in commercio. O sulla rete, dove con un minimo di preparazione si può trovare qualsiasi cosa, e non sai però se quella cosa ti arriva davvero o è altro, contraffatto. Poi c’è il giro delle ricette false per procurarsi farmaci che possono dare alterazione. Insomma, tutto cambia. E oggi si vende e si compra non più con i significati di 20-30 anni fa“.
Per Gatti, contrastare questi fenomeni implica la necessità di “task force di esperti, modelli previsionali. Serve un lavoro più a lungo termine di strategia di comunicazione e interazione con la gente, che non stiamo facendo. Se negli Usa un tranquillante per animali chiamato xilazina (resistente tra l’altro ai trattamenti standard per l’inversione dell’overdose da oppioidi) viene usato per tagliare il fentanil illecito, con un impatto devastante, e lo si rileva in una quota crescente dei campioni di droga” che si intercettano, “il rischio che succeda anche qui in un mondo globalizzato c’è. E occorre prevedere e intervenire“.