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La strage di via Fani 45 anni dopo

- 16/03/2023
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Una “data incaccellabile”, un “disumano assassinio”: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricorda così quel 16 marzo quando Via Fani, a Roma, si trasformò nel campo di battaglia in cui si fronteggiavano lo Stato e il terrorismo di matrice politica.

LA STORIA DI UN ASSASSINIO “INCANCELLABILE”

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Sono da poco passate le 9 del mattino, quando il responsabile del servizio politico dell’Agi, Vittorio Orefice, si appresta a entrare a Montecitorio. È il 16 marzo 1978 e lo attende una giornata faticosa perché quella mattina il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, deve presentarsi alla Camera per chiedere la fiducia al suo quarto governo. Davanti all’ingresso di Montecitorio alcuni agenti di polizia in motocicletta parlano in modo concitato con la centrale. La curiosità induce il cronista ad avvicinarsi: dalla radio si sente gracchiare una voce che parla di un rapimento e di poliziotti uccisi.

Orefice chiede dettagli e un agente gli riferisce che è stato sequestrato Aldo Moro. Il cronista dell’Agi si precipita nella sala stampa, ancora deserta a quell’ora, e si attacca al telefono chiamando una fonte al Viminale. Passano pochi minuti e ottiene la conferma che il presidente della Democrazia Cristiana è stato sequestrato e gli uomini della scorta sono stati uccisi. Alle 9:28 le telescriventi dell’Agi battono il primo, asciutto, lancio: “L’on. Aldo Moro è stato rapito. La notizia è stata confermata all’Agenzia Italia dal ministro degli Interni. Il fatto sarebbe avvenuto una ventina di minuti fa nei pressi dell’abitazione dell’on. Moro. Il capo della Polizia Parlato e il ministro degli Interni Cossiga si sono immediatamente recati sul posto”.

La notizia piomba nelle redazioni dei quotidiani e della Rai. Secondo lancio dell’Agi alle 9:30: “Dalle prime notizie risulta che i membri della scorta sarebbero stati uccisi”. Passano pochi minuti e la seconda rete della Rai interrompe le trasmissioni e lancia un’edizione straordinaria del tg nella quale, citando i pezzi dell’Agi, dà agli italiani la notizia che avrebbe cambiato la storia del nostro Paese.

Già da qualche settimana nelle redazioni di giornali e agenzie di stampa circolavano voci preoccupate di gruppi estremistici in procinto di organizzare azioni eclatanti. Ma nessuno immaginava che i terroristi fossero in grado di portare un attacco di tale portata al cuore dello Stato. Attacco, peraltro, condotto con metodi militari tanto sofisticati. La notizia del rapimento di Moro e dell’uccisione degli uomini della scorta coglie perciò il Paese impreparato: quel giorno gli italiani diventano finalmente consapevoli della estrema gravità del fenomeno terroristico.

Dopo i primi momenti di sgomento, le redazioni di quotidiani e agenzie di stampa si mobilitano. Vengono subito mandati giornalisti in Via Fani (luogo del rapimento), sotto casa della famiglia Moro, al Viminale, in Questura, in Prefettura. Le redazioni politiche presidiano la Camera, il Senato e Palazzo Chigi: deputati e senatori affollano la sala stampa per avere notizie.

Il lavoro dei giornalisti delle agenzie di stampa è reso complicato dalle scarse dotazioni tecnologiche dell’epoca. Non ci sono certo i telefonini a disposizione dei cronisti inviati in strada e nelle sedi istituzionali. Tanto meno esistono ancora i computer. Bisogna ricorrere alle cabine telefoniche della Sip e agli apparecchi di bar e ristoranti per dettare i pezzi in redazione e trasmetterli ai giornali attraverso le telescriventi. Ma la difficoltà maggiore è data dalla confusione della macchina organizzativa dello Stato che mostra di essere impreparata per un evento di tale portata. I tradizionali canali informativi dei giornalisti nelle sedi istituzionali saltano: c’è una grande difficoltà nell’ottenere informazioni precise su quanto stia davvero accadendo.

VIA FANI Moro
Il corpo senza senza vita di Raffaele Iozzino in una foto scattata il 16 marzo 1978 durante i rilievi tecnici sulla scena dell’agguato in via Fani, dove venne rapito Aldo Moro e tratta dal fascicolo del primo processo Moro. Durante l’agguato in cui venne rapito Aldo Moro, furono uccisi i due carabinieri a bordo dell?auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti a bordo dell’auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). ANSA/PAT

Le ricostruzioni della dinamica del sequestro si susseguono, arricchendosi ogni volta di particolari che correggono o addirittura smentiscono la versione immediatamente precedente. Senza contare che la psicosi del momento dà libero sfogo a quelle che oggi chiameremmo fake news, con il diffondersi per l’intera giornata di notizie di esplosioni, sparatorie e attentati in diversi punti della città, poi rivelatisi tutte false. A un certo punto, nella sala stampa della Camera, si sparge addirittura la voce, falsa anche questa, di un colpo di Stato in atto e di carri armati che circondano Montecitorio per proteggere i deputati.

Rileggendo le centinaia di take trasmessi dall’Agi, riaffiorano, minuto per minuto, gli eventi concitati e drammatici di quella giornata ma anche il clima pesante che si respirava quel giorno nel Paese: una pagina di cronaca che, quaranta anni dopo, diventa testimonianza e documento storico. Dopo meno di mezz’ora dal primo lancio, l’Agi dà conto dei primi dettagli sulla dinamica del sequestro. Mezz’ora dopo arriva la rivendicazione delle Brigate Rosse. Si diffonde la notizia, poi rivelatasi falsa, che Moro è ferito ed è ricoverato al policlinico Gemelli. Ben presto si viene a sapere che si tratta invece di uno degli uomini della scorta, Francesco Zizzi, che di lì a poco spirerà durante un disperato intervento chirurgico. Intanto si riunisce il Consiglio dei Ministri e Andreotti riceve a Palazzo Chigi le delegazioni di tutti i partiti.

Le conferenze dei capigruppo di Camera e Senato, per dare un messaggio di forza al Paese, decidono di accelerare i lavori della fiducia e di arrivare al voto finale entro la stessa giornata. I sindacati proclamano lo sciopero generale e convocano i lavoratori a Piazza San Giovanni per il pomeriggio, mentre le scuole chiudono e i ragazzi vengono mandati a casa. Tutti gli spettacoli sono sospesi.

Sul fronte economico, la lira perde terreno cedendo pesantemente nei confronti del dollaro e le contrattazioni alla Borsa valori di Milano sono praticamente bloccate. Circa due ore dopo il rapimento arrivano la dichiarazione ufficiale del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi e l’appello del ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, che chiede ai cittadini e al mondo dell’informazione di collaborare con inquirenti e forze di polizia. Il procuratore capo della Repubblica di Roma, Giovanni Di Matteo, fa una dichiarazione pubblica e affida le indagini al giudice istruttore, Luciano Infelisi.

Volantini delle Br vengono ritrovati nello stabilimento di Genova dell’Ansaldo e i brigatisti rinchiusi nel carcere di Torino si lasciano andare a manifestazioni di giubilo dopo aver appreso la notizia del rapimento di Moro. Nel mondo politico si levano voci che chiedono un inasprimento delle pene per i terroristi e il segretario del Partito Repubblicano, Ugo La Malfa, arriva a chiedere il ripristino della pena di morte. Andreotti interviene alla Camera per chiedere la fiducia e, alla fine del discorso, si reca al Senato; quindi, insieme a Cossiga, sale al Quirinale per conferire con il presidente Leone.

Sulla Rai le edizioni dei tg si susseguono ininterrottamente, tutti i giornali lanciano edizioni straordinarie che escono in edicola insieme ai quotidiani del pomeriggio, allora molto diffusi. Oltre 50.000 persone si ritrovano a Piazza San Giovanni per manifestare contro il terrorismo, sotto gli striscioni unitari di Cgil, Cisl e Uil. Manifestazioni si svolgono in tutte le principali città d’Italia. Nel pomeriggio prime perquisizioni di abitazioni nel quartiere della Balduina, mentre la tv trasmette le foto di 11 brigatisti ricercati: fra questi ci sono Prospero Gallinari, Mario Moretti, Patrizio Peci. In serata arriva il messaggio del presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, al capo dello Stato Leone. Alla fine di una giornata lunga e terribile, le istituzioni danno una prima forte risposta alla sfida lanciata dai terroristi: il Parlamento concede, in tempi record, la fiducia al governo Andreotti con una larghissima maggioranza, 545 sì e 30 no alla Camera, 267 sì e 5 no al Senato.

IL RICORDO DEL PRESIDENTE MATTARELLA NEL 2021

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“Ci separano quarantatré anni dal disumano assassinio in Roma, ad opera dei terroristi delle brigate rosse, di Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino”, ricorda il Capo dello Stato: “Difensori dello Stato di diritto, della libertà e della democrazia della Repubblica, pagarono con la vita il mandato loro affidato di proteggere Aldo Moro, statista insigne, presidente della Democrazia Cristiana, il cui calvario sarebbe durato sino al successivo 9 maggio quando il suo corpo venne fatto ritrovare in via Caetani”.

Per il Capo dello Stato “una data, quella del 16 marzo 1978, incancellabile nella coscienza del popolo italiano. Lo sprezzo per la vita delle persone, nel folle delirio brigatista, lo sgomento per un attacco che puntava a destabilizzare la vita democratica italiana rimangono una ferita e un monito per la storia della nostra comunità. Sono vite strappate agli affetti familiari da una violenza sanguinaria, sono lacerazioni insanabili”.

“Alle vittime va un pensiero commosso e ai familiari la solidarietà più intensa, che il trascorrere degli anni non ha mai indebolito. La democrazia italiana venne privata, in quell’agguato, di uno dei leader più autorevoli e capaci di visione. Il corso della storia repubblicana ne fu segnato”.

La presidente del Senato, Elisabetta Casellati, si sofferma sull’esempio “della coesione e dell’unità d’intenti che forze politiche e società civile seppero mettere in campo, in quegli anni bui, per difendere lo Stato di diritto e le istituzioni democratiche”, mentre il presidente della Camera, Roberto Fico, 
“ricordare Aldo Moro e gli uomini della sua scorta è ancora oggi un richiamo alle nostre responsabilità di Paese libero e democratico. E impone di perseguire la verità e la giustizia sulle vicende degli anni di piombo”.

Da quel giorno, tuttavia, partì la riscossa delle istituzioni. Sottolinea il Presidente Mattarella: “In quei terribili giorni si fece strada un forte sentimento di unità, diffuso nel Paese e che fu decisivo per isolare le bande del terrore, per respingere i loro folli progetti e le insinuazioni della loro propaganda. Una unità – conclude – che si tradusse in più avvertita responsabilità verso il valore delle istituzioni democratiche, garanzia delle libertà scolpite nella Costituzione”. 

Il ricordo degli uomini della scorta del presidente Moro è vivo anche nell forze politiche: “Onorare le istituzioni nel loro nome oggi e sempre”, dice il segretario Pd, Enrico Letta, mentre il capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio, sottolinea come allora ebbero inizio i “giorni più bui della nostra storia. Con il sacrificio di cinque uomini per difendere la democrazia”. Per Matteo Renzi, si tratta  “della pagina più nera della storia della Repubblica”. 

AGI