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La CASA DI GIULIO: quando il dolore si trasforma in amore e salvezza. Uscire dalle dipendenze: da oggi una nuova speranza.

- 11/03/2023
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di Giuseppe Bevacqua

La domenica che precedette l’apparizione sul palcoscenico del Teatro Massimo di Palermo dell’immagine di Giulio Zavatteri, scomparso a soli 19 anni, suo padre mi ricambiò la visita che gli avevo fatto a Palermo, e venne a Messina. Quando il telefono squillò e dall’altro capo riconobbi la voce, salii in auto per raggiungerlo. Mentre guidavo per la città ancora sonnolente per il sabato appena trascorso, sentivo come se stessi andando ad incontrare un parente, una persona cara, anzi un fratello in armi.

Alcune storie ti toccano, ti trafiggono se li comprendi affondo, se li conosci sulla tua pelle. Quella di Giulio mi ha da subito invaso il cuore e, anche se sono trascorsi mesi da quando presi un pullman e andai a trovare Francesco Zavatteri nella sua casa, ricordo ancora oggi le sensazioni di quel viaggio, l’aria ovattata e sospesa delle stanze della sua casa, di chi un figlio l’ha perso, la certezza che quel padre stava elaborando un lutto trasformandolo e convogliandolo in qualcosa di positivo ed importante.

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Francesco mi attendeva davanti ad un bar e la prima cosa che mi disse salendo in macchina, mentre ricambiava la mia visita, lo lessi prima nei suoi occhi. Da padre a padre ci si comprende. Il dolore, anche se diverso, lo si legge nell’anima, nell’aura che ti avvolge, anche se tu non l’avresti mai voluta, e che spetta solo a te renderla positiva o negativa, spetta solo a chi elabora il dolore chiudersi in una corazza di cinismo o aprirsi ancora di più e far “fruttare” a beneficio di tutti, di coloro che ne necessitano, la tragedia che ti colpisce. Che Francesco avesse scelto la migliore delle opzioni mi fu chiaro già dalla mia visita a Palermo, glielo lessi nell’anima quando lo vidi accogliermi sulle scale di casa sua. Io sconosciuto direttore di un piccolo, anzi piccolissimo giornale, ma padre nel quale riconoscersi. Mi accolse, allora, con un sorriso nascosto dietro un progetto che stava costruendo e del quale bisognava se ne parlasse, il più possibile.

Il dolore di Francesco per il suo Giulio si è trasformato. Da sordo e insopportabile è divenuto, come bruco in farfalla, amore per gli altri, per tutti coloro che possono ancora farcela. Un sogno che dal dolore ha spinto Francesco, contro tanti che avrebbero preferito che rimanesse in silenzio, a salire sul palco del Teatro Massimo a Palermo la scorsa domenica, con il cuore piccolo piccolo per l’emozione, con gli occhi carichi di lacrime, con l’anima ricca di chi ha deciso che il proprio figlio, la sua storia merita di essere raccontata, almeno per salvare chi ancora è vivo. Affinché resti tale e possa tornare a vivere. Perché tutti coloro che combattono contro le dipendenze, contro il mal di vivere, e le loro famiglie, sono anche loro come Giulio. E non è impossibile ridare vita a Giulio, salvando gli altri.

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Francesco ed io ci salutammo quella domenica, con un abbraccio stretto stretto. “In bocca al lupo per domenica” gli sussurrai guancia a guancia. Ma non ce n’era bisogno. Perché la gente, quando vuole, sa avere il cuore grande, come ce l’aveva Giulio che sento anche un po’ figlio mio, come l’ha sentito, per una sera, la platea gremita del Politeama di Palermo.

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Le foto che ho visto, pubblicate da Francesco sulla pagina Facebook della Casa di Giulio, il viso di Giulio che si staglia immenso sul palco del Teatro Massimo e la commozione di quell’abbraccio con la gente, tra Francesco e i suoi figli, restituiscono una certezza: la “Casa” adesso esiste, c’è ed ha ancora bisogno di aiuto e sostegno. Di speranza. Ciò di cui noi tutti ed i nostri figli necessitiamo.

Per sostenere la Casa di Giulio: https://www.gofundme.com/f/la-casa-di-giulio?utm_campaign=p_lico+share-sheet&utm_medium=copy_link&utm_source=customer

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STORIA DI GIULIO – reportage intervista

"Storia di Giulio e di tutti gli altri nostri figli", il crack e il dolore