170 views 8 min 0 Comment

LA POLITICA PRESERVA SE’ STESSA MA NON I LAVORATORI. STIPENDI ITALIANI CALANO DEL 2,8% MENTRE QUELLI OCSE SALGONO DEL 38,5%. E POI LO SCHIAFFO AI SICILIANI…

- 14/02/2023

Il mondo a cui guardiamo oggi non è quello che conoscevamo, quello in cui siamo cresciuti e di cui abbiamo imparato a individuare rischi e opportunità”. Inizia così la prefazione del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone .

Ma le parole si scontrano con una realtà drammatica che accumula nubi scure sul mercato del lavoro italiano e pone seri dubbi sulla capacità e sulla corretta opera di contrattazione svolta in questi anni dai sindacati.

Gli stipendi italiani NON CRESCONO, anzi sono calati in otto anni del 2,8%. Di contro quelli degli altri Paesi in area OCSE nello stesso periodo sono cresciuti in media del 38,5%.

Qual è il motivo?

Da un lato il distacco e l’isolamento della Politica dall’economia reale. Un mondo quello politico che è sempre più autoreferenziale e che sembra lavorare solo per garantire sé stessa.

LO SCHIAFFO AI SICILIANI E LA POLITICA FINE A SE’ STESSA

Ultimo atto l’indicizzazione delle indennità dei parlamentari siciliani. Un incremento di 890 euro lordi al mese che suona come uno schiaffo ai siciliani.

Un settore, quello della Politica che negli anni non ha subito decurtazioni dello stipendio, licenziamenti o cassa integrazione. Mentre gli eletti dal popolo mettono in sicurezza le loro indennità già di tutto rispetto, i dati rilevati da rapporti come quello INAPP svelano una condizione di elevato rischio povertà per i lavoratori.

IL DIVARIO TRA ITALIA E OCSE

Si parte proprio dal divario tra Italia e Paesi in area OCSE che sembra sempre più insormontabile e inadeguato. Ed il metro è quello del dopo Covid.

Sette su dieci dei nuovi contratti attivati nel post pandemia sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%), solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni ad impieghi stabili, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale. (fonte INAPP).

Il tasso di occupazione, sceso dal 58,8 al 56,8% all’inizio della pandemia, ha ripreso a crescere solo nel 2021 e ha impiegato 18 mesi per tornare ai livelli pre-crisi.

Nei Paesi Ocse la risalita era già consistente nel secondo trimestre 2020 e si è completata in 15 mesi

Nel 2021 il 68,9% dei nuovi contratti sono a tempo determinato (il 14,8% a tempo indeterminato). Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni.

Il crescente aumento dei contratti non standard si rivela una costante del modello di sviluppo occupazionale italiano, sino a diventare requisito ‘strutturale’ della ripresa post Covid. Come dimostrano le rilevazioni fatte dall’Inapp a partire dal 2008, in questo arco di tempo la ‘flessibilità buona’ ha portato a un’occupazione stabile chi svolgeva un impiego precario tra il 35 e il 40%.

Nel 2021 il part time involontario (la quota di lavoratori che svolgono un lavoro a tempo parziale non per scelta) rappresenta l’11,3% del totale dei lavoratori contro il solo 3,2% nell’area Ocse .

LAVORATORI POVERI – Famiglie che lavorano ma povere e che rischiano di rinunciare per prima cosa alle cure sanitarie

Ci sono poi quanti, pur lavorando sono in una famiglia a rischio povertà, cioè con un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di rischio povertà. Nell’ultimo decennio (2010- 2020) il tasso di ‘lavoro povero’ è stato pressoché costante con un valore medio pari a 11,3% e una distanza rispetto all’Unione europea superiore mediamente del 2,1%.

L’8,7% dei lavoratori percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro e solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei. Se consideriamo il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere autonomamente ad una spesa improvvisa, (quindi non ha risparmi o capacità di ottenere credito), il 20% riesce a fronteggiare spese fino a 300 euro e il 28% spese fino a 800 euro. Quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche.

Salari, Italia maglia nera dell’Ocse. Tutto questo in un contesto generale in cui il nostro Paese nel corso degli ultimi 30 anni (1990 -2020) è l’unico ad aver registrato un calo dei salari (- 2,9%) a fronte di una crescita media dei Paesi Ocse del 38,5%. Nello stesso periodo la produttività è cresciuta del 21,9%; non sembrano dunque aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro. Nell’ultimo decennio (2010-2020), in particolare, i salari sono diminuiti dell’8,3%.

SINDACATI E CAPACITA’ EFFETTIVA DI CONTRATTAZIONE

Le cause di una dinamica salariale così contenuta sono diverse, una di queste è il meccanismo di negoziazione dei salari. Resta bassa la quota di imprese che dichiarano di applicare entrambi i livelli di contrattazione (4%); inoltre, in sette anni si è ridotto il numero di aziende che dichiarano di applicare un Ccnl (-10%), mentre si è più che duplicata la quota di imprese che dichiarano di non applicare alcun contratto (dal 9% nel 2011 al 20% nel 2018)”. Tutti questi aspetti mostrano l’esigenza di una ‘nuova stagione’ delle politiche del lavoro, che si integrino con le politiche industriali e con le politiche di sviluppo, in una strategia unitaria che coinvolga tutti i livelli territoriali con un coordinamento capace di rispondere alle sfide del profondo cambiamento strutturale in atto. “Nessuno può sottrarsi alle sue responsabilità – ribadisce il ministro Calderone in chiusura della prefazione – È un imperativo che impegna ciascuno di noi; un monito a operare giorno dopo giorno per un lavoro sempre più inclusivo”.

Luigi Einaudi, nelle sue note ‘prediche inutili’: “Come si può deliberare senza conoscere? È impossibile. Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall’urgenza di rimediare a difetti propri di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d’uopo perfezionarle ancora, sicché ben presto il tutto diventa un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi […]”. Quindi, “…prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”.