“Il tribunale oggi ha confermato anche in appello la mia innocenza. Quell’innocenza che già lo scorso 10 gennaio una sentenza di primo grado aveva ampiamente acclarato. Oggi La Corte d’appello ha messo la parola fine a questo ennesimo capitolo confermando la sentenza emessa lo scorso 10 gennaio dal tribunale di Messina, in funzione del giudice monocratico, nei confronti di Cateno De Luca, Carmelo Satta e Giuseppe Ciatto appellata dal Pubblico Ministero e dalla parte civile Agenzia delle Entrate condannando la parte civile al pagamento delle spese di giudizio. Sono stati anni complicati. Quando l’8 di novembre 2017 sono stato arrestato con l’accusa di evasione fiscale in quello che sarebbe diventato il processo Fenapi la mia vita e quella della mia famiglia e della Fenapi stessa sono state stravolte. Ero appena stato eletto al Parlamento siciliano e immaginate cosa si è scatenato contro di me. Ho subito un attacco mediatico senza precedenti. In meno di 24 ore il mio nome era su tutti i tg nazionali e i maggiori quotidiani.
Peccato però che lo scorso 10 gennaio, in occasione della sentenza di assoluzione di primo grado, non ci sia stato nei miei confronti lo stesso interesse.
In questi anni ho sempre affrontato ogni udienza a testa alta, consapevole della mia innocenza.
Non c’è giudice che possa rimproverarmi di non essere stato un bravo imputato. Sono stato sempre presente, soprattutto nei momenti cruciali, come stamattina perché non sono mai fuggito dai mie 18 processi che vi hanno sempre visto assolto.
Questo sarà il primo Natale dopo tanti anni che non trascorrerò leggendo carte giudiziarie, perché ovviamente non sono stato un imputato passivo. Ho cercato di essere utile al mio collegio di difesa che voglio ringraziare. Il mio ringraziamento va al professore Carlo Taormina, all’avvocato Giovanni Mannuccia, all’avvocato Tommaso Micalizzi, all’avvocato Emiliano Covino e tutti i consulenti che ci hanno supportato in questa guerra con particolare riferimento al professor Raffaello Lupi.
Questa vicenda lascia in me un segno, una profonda ferita. Non auguro a nessuno il calvario giudiziario che io ho passato.
Nei miei confronti c’è stato un vero e proprio accanimento. Ora mi aspetto che tutti coloro che si sono occupati di me e della mia vicenda sentendosi in diritto di rilasciare dichiarazioni ed emettere giudizi chieda scusa.
Mi riferisco in particolare a quella politica che non aspettava altro che un appiglio per attaccarmi e tentare di mettermi fuori gioco con vere e proprie azioni di sciacallaggio.
La politica dovrebbe rimanere fuori dalle dinamiche giudiziarie. Dovrebbe occuparsi di far funzionare la giustizia, di riformare la giustizia. Secondo i benpensanti avrei dovuto ritirarmi in attesa di essere assolto in via definitiva. Dovevo mettermi da parte già dal 27 di giugno 2011, quando sono stato arrestato la prima volta. Sono passati quasi 12 anni. Pensate a quante cose sono accadute in questi anni. Io sono andato avanti sempre a testa alta, anche grazie al sostegno di quanti hanno continuato a credere in me. La comunità di Santa Teresa di Riva prima e quella di Messina dopo. Mi ha sostenuto il consenso della gente.
Oggi pretendo le scuse di Matteo Salvini e di quanti come lui mi hanno condannato ancor prima che un tribunale emettesse la sentenza.
Devo ringraziare gli uomini e le donne di legge onesti che hanno avuto la lucidità di esaminare quelle carte giudiziarie e andare oltre.
Voglio ringraziare in particolare quel giudice che si è preso la responsabilità di smontare in primo grado le porcherie che erano state ad arte architettate contro di me.
Ringrazio anche il collegio di oggi per il lavoro svolto con precisione e attenzione ribadendo la mia innocenza.
Che il sostituto procuratore generale Felice Lima avesse definito la scorsa udienza “stupefacente” quanto deciso dal giudice di primo grado ci aveva lasciati più che perplessi. Da subito è parsa una presa di posizione sconcertante, anche nei confronti del lavoro svolto dai suoi colleghi.
La giustizia giusta ha prevalso. Quella giustizia di cui parlo nel mio libro Lupara Giudiziaria, scritto proprio durante i venti giorni in cui sono stato agli arresti domiciliari e che rimane oggi testimonianza del tentativo di farmi letteralmente “fuori”. Oggi posso dire che è finalmente finita, ma le cicatrici restano. Resta una profonda ferita e per questo che pretendo di essere risarcito, per le notti insonni, per il danno morale, per tutte le volte che sono stato bollato di essere impresentabile.”
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