Due bengalesi, di 32 e 24 anni, sono stati sottoposti a fermo – convalidato dai gip – perché ritenuti responsabili, in concorso, di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di tortura, sequestro di persona a scopo di estorsione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Uno è stato fermato ad Agrigento, l’altro a Gorizia dove nel frattempo era stato trasferito.
All’hotspot di Lampedusa i due sono arrivati a fine settembre. Erano su un barcone differente rispetto a quello dove erano stati imbarcati i connazionali che, secondo le indagini, in un campo di detenzione a Zuwara in Libia, erano stati tenuti prigionieri e torturati affinché pagassero, o saldassero, le somme pattuite all’inizio del viaggio dal Bangladesh. I poliziotti della Squadra Mobile di Agrigento sono arrivati all’identificazione dei due dopo aver sentito alcuni bengalesi che, nonostante il timore perché all’hotspot si erano ritrovati davanti agli occhi i loro aguzzini, hanno raccontato quanto avevano vissuto. Dall’inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, è emerso che i bengalesi sono arrivati a pagare fino a 10 mila euro per il viaggio dal Bangladesh. Chi saldava prima della partenza dalla Libia, è emerso anche, aveva un buon trattamento nel campo di detenzione: vi restava per pochissimo tempo, aveva assistenza sanitaria se necessaria e perfino un ventilatore. Non soltanto libici ed egiziani, ma anche bengalesi. Cambiano i flussi migratori – negli ultimi mesi, a Lampedusa, sono aumentati gli sbarchi di bengalesi – e mutano anche le nazionalità degli aguzzini nei campi libibi. Secondo quanto è emerso dalla nuova inchiesta della Squadra Mobile di Agrigento, realizzata con il coordinamento della Dda di Palermo, i proprietari dei campi di detenzione, in Libia, si stanno affidando a connazionali di chi è in fuga per fare sì che nei centri di detenzione – che arrivano ad ospitare, tutte ammassate, anche 2.500 persone – venga garantita la vigilanza e per portare a termine le estorsioni del denaro pattuito prima del viaggio.
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