L’amarezza dei genitori di Salvatore d’Agostino rimasto folgorato nel 2016 a Gaggi (Me), alla richiesta dei legali dell’imputata alle testate giornalistiche di rimuovere ogni notizia sul caso prima che sia emessa la sentenza
“Susanna Gemmo e Gemmo Impianti chiedono “l’oblio” per il procedimento penale a loro carico per omicidio colposo per la morte di un ragazzino, peccato che il processo sia ancora in corso e i genitori della vittima non abbiano affatto gradito che si voglia “dimenticare” tutto prima ancora che sia emessa la sentenza“.
Salvatore D’Agostino il 2 agosto del 2016 stava giocando nella piazza davanti alla Chiesa Madre ad Antico Borgo Cavallaro, nella frazione di Gaggi, in provincia di Messina. Per recuperare un pallone il ragazzo, che ha 15 anni, tocca un faretto e rimane folgorato. Dopo 18 giorni di coma Salvatore è deceduto, “gettando nella disperazione i suoi cari e tutto il paese”.
I genitori, tramite l’Area Manager Sicilia Salvatore Agosta, per fare piena luce sui fatti e le responsabilità e ottenere giustizia si sono affidati a Studio 3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini, subito attivatasi per dare il proprio apporto alle indagini, in collaborazione con l’avv. Filippo Pagano, Foro di Messina. E’ stato presentato un esposto alla Procura messinese, che aveva aperto un fascicolo contro ignoti, chiedendo di individuare il proprietario dell’area, il titolare dell’utenza che alimentava il faretto e il fornitore dell’energia, chi l’avesse collocato collegando i cavi e mettendolo in esercizio, a chi competesse la manutenzione; che si accertasse se l’installazione fosse a norma viste la mancanza di griglie di protezione e cartelli di pericolo e la presenza di nastro adesivo ormai consunto che attestava un datato e maldestro intervento sui cavi; che si documentasse lo stato dei luoghi e l’accessibilità a tutti.
Nell’estate 2017, la svolta: la Procura ha iscritto nel registro degli indagati la dott.ssa Susanna Gemmo, oggi 59 anni, e l’ing. Francesco Trimarchi, 41, rispettivamente presidente del Cda e responsabile dell’ufficio Tecnico e Gare d’Appalto (con particolare riferimento a quelle per la Sicilia) della Gemmo S.p.a., colosso del settore delle grandi infrastrutture, impianti tecnologici e servizi, con sede ad Arcugnano (Vicenza), 142 milioni di fatturato nel 2020 e tante grandi opere all’attivo in Italia e all’estero. E’ alla società berica che il Comune di Gaggi aveva affidato la gestione del suo impianto di pubblica illuminazione tramite l’adesione alla convenzione per il Servizio Luce e servizi connessi per le Pubbliche Amministrazioni con Consip, la centrale acquisti della PA. Gemmo si era aggiudicata il lotto 8 della procedura di gara bandita da Consip per il Ministero dell’Economia, quello per la Sicilia, che comprendeva la gestione dell’illuminazione di tante altre città dell’isola, vedi Catania.
E a conclusione delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero titolare del fascicolo, dott.ssa Antonella Fradà, con provvedimento del 9 maggio 2018, ha chiesto il rinvio a giudizio dei due imputati, cui ha contestato il reato “di cui agli articoli 113 e 589 del codice penale (omicidio colposo in concorso, ndr) perché – recita l’atto – in cooperazione tra loro, Gemmo Susanna in qualità di legale rappresentante della società Gemmo S.p.a., affidataria del “servizio luce e dei servizi connessi”, e segnatamente del servizio di gestione dell’impianto di pubblica illuminazione del Comune di Gaggi e del servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria dello stesso, e Trimarchi Francesco, in qualità di dipendente della società Gemmo Spa responsabile della gestione della suddetta commessa, cagionavano il decesso di D’Agostino Salvatore. Per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nel non aver rilevato che i fari installati presso la piazza della Chiesa Madre di Gaggi, ancorché in disuso da anni e privi di lampade, fossero alimentati dall’impianto di illuminazione pubblica attraverso l’aggancio al quadro Q001 collocato in via Tenente Turrisi di Gaggi”. Un decesso che,conclude il Pm, è avvenuto “per fibrillazione ventricolare con arresto cardiocircolatorio e respiratorio responsabile di una prolungata anossia cerebrale, cagionata a seguito di elettrocuzione di cui il ragazzo rimaneva vittima in conseguenza di una dispersione di energia elettrica promanante da uno dei faretti collocati presso la piazza”.
Richiesta ritenuta fondata dal Tribunale di Messina. Il 9 ottobre 2018 si è tenuta l’udienza preliminare in cui il Sostituto Procuratore e l’avv. Pagano hanno insistito per la richiesta di processo, mentre i difensori degli imputati hanno avanzato istanza di proscioglimento e/o di integrazione probatoria. Ma all’esito della camera di consiglio, il Gup, dott. Eugenio Fiorentino, ha disposto il rinvio a giudizio di entrambi gli imputati innanzi il Tribunale monocratico di Messina, seconda sezione penale, ammettendo anche la costituzione di parte civile dei genitori e della sorella di Salvatore: per inciso, l’azienda non ha mai riscontrato le richieste di risarcimento presentate da Studio3A per conto dei suoi assistiti. E nell’udienza del 24 maggio 2019 il giudice monocratico di Messina, dott.ssa Alessandra di Fresco, accogliendo l’istanza del legale delle parti civili, ha autorizzato e ordinato, per citare l’atto, “la citazione, in qualità di responsabile civile, della società Gemmo s.p.a., per rispondere, eventualmente in solido con gli imputati, del risarcimento dei danni patiti dalle parti civili”: quindi, anche l’azienda è pienamente parte in causa del processo. Il procedimento poi ha inevitabilmente scontato la pandemia, ha visto diversi rinvii, ma è tuttora pendente, si sono svolte già alcune udienze dedicate all’attività istruttoria e all’esame dei testi e la prossima è in programma il 23 novembre 2022 per sentire gli ultimi testimoni della parte civile.
Nonostante ciò, i legali di Susanna Gemmo e della società negli ultimi tempi hanno tempestato di richieste direttori e uffici legali delle testate giornalistiche, comprese le principali, pretendendo la rimozione dei link dei loro siti che rimandavano alle notizie sul processo, ritenute lesive dell’immagine e reputazione dei loro assistiti e ormai non più attuali e di interesse per i lettori. E si sono appellati al diritto all’oblio e alla gravità della sua violazione, ottenendo in diversi casi la cancellazione dei link “compromettenti” da parte di editori e giornalisti, evidentemente per evitare fastidi e problemi. Ma al di là della singolarità dell’istanza, trattandosi di un fatto risalente non a decenni fa ma al 2016, gli avvocati si sono ben guardati dallo specificare che il procedimento penale è ancora assolutamente in corso e che i loro assistiti sono tuttora sotto processo e su tali basi, ovviamente, non può sussistere alcun diritto all’oblio. Venuti a conoscenza di tali richieste, la mamma e il papà di Salvatore sono naturalmente rimasti profondamente amareggiati, cogliendole quasi come un insulto verso il figlio e la sua memoria, come la volontà di dare un colpo di spugna alla tragedia prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso e il giudice abbia pronunciato la sentenza. Di qui il loro, di appello, ai giornalisti di esercitare sul caso un altro diritto: quello di cronaca.