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Maria Bertìa, la “Signora del Pizzo”. Vi racconto una storia di passione e alta classe

- 11/08/2020

“Mi considero una persona semplice, madre di quattro figlie e innamorata di mio marito da cinquant’anni. Ho avuto molte soddisfazioni, vestito personaggi importanti, eppure nulla mi dà più di quanto io mi senta appagata come donna”.

Si svegliava la mattina e sentiva l’odore del latte messo sul fuoco per la colazione. La Signora Bertìa cominciò da piccola a cucire abiti da sposa per le sue bambole. Organizzava matrimoni in grande stile nel deposito della bottega di famiglia. Tutti si adoperavano per fare spazio. Il primo abito vero, che lei stessa definisce il vestito dei sogni, era destinato ad una ragazza di Ganzirri, promessa sposa di un ingegnere navale. Potrei quasi perdermi tra i dettagli straordinariamente delicati di Maria Bertìa. C’è magia dietro la sua arte, come ce n’è nella bontà d’animo che l’ha sempre contraddistinta.

 

Ho cominciato quaranta anni fa. – Spiega Maria Bertìa – All’epoca Messina non vantava grandi punti di riferimento per le spose. Si andava fuori città alla ricerca dell’abito dei sogni. Quando inaugurai la mia attività cominciai con le grandi firme del settore, come Lancetti, Valentino, Radiosa, Pierre Cardin. Arrivammo a vestire quattrocento spose l’anno. Il mio atelier era in linea con lo stile di Parigi. Ricordo che nel week end che seguiva l’Epifania, in occasione della due giorni dedicata alle sfilate, l’atelier arrivava ad ospitare duecentocinquanta persone sedute. C’era talmente tanta gente che decidemmo di mettere un maxi schermo che dava sulla strada. In una sola giornata potevamo contare fino a quattro sfilate, dalle nove e trenta del mattino alle otto di sera. Al termine dell’ultima aveva inizio la festa”.

La sposa vestita dalla Signora Bertìa è una sposa senza tempo. La chiamo con affetto “la Signora del Pizzo” perché sono stata letteralmente catturata dagli abiti dediti all’antica arte del ricamo, mai fuori luogo o fuori moda. Le maggiori passerelle internazionali continuano a riproporre abiti sognanti in pizzo ricercato, a conferire eleganza e austerità alle griffe e agli stilisti più in voga nel parterre dell’haute couture. Caftani bianchi, baby doll romantici e liseuse estive. Tutto può essere esaltato da un pizzo ricercato. E in questo lei è maestra. Eppure, nel caso di Maria Bertìa, il pizzo rappresenta uno dei mille talenti. A prescindere dai materiali, dalle stoffe, dalle linee e dalle misure, la Signora di Messina veste le spose di grazia.

“Ogni ragazza ha il suo sogno. Immagina il suo matrimonio e per quel giorno desidera l’abito perfetto. In questi anni le cose sono molto cambiate. C’é troppa offerta e si finisce con l’essere confusi su ciò che si desidera. Soprattutto ci sono i ciarlatani, che riuscirebbero a vendere anche il fumo. Io faccio da sempre il mio lavoro con grande passione. Ora, però, comincio a sentirmi stanca. Vorrei arrivare a godermi il futuro sapendo di aver dato tutto e, soprattutto, di aver lasciato in mani preziose e consapevoli il lavoro di una vita. Sono grata alle mie figlie perché mi danno questa sicurezza. Ne cito una su tutte, Viviana, la creativa, come la sua mamma, ideatrice di un brand di gioielli che le dà tante soddisfazioni. Non avete idea di quanto io sia orgogliosa di loro”.

Care Amiche, sareste incantate dalla portata emotiva e umana della vicinanza di Maria Bertìa. Il modo in cui pesa la dolcezza delle parole, il completo disinteresse per le logiche di convenienza, la consapevolezza dell’importanza dei valori familiari, fanno di lei, ai miei occhi, un esempio e un punto di riferimento costante. Ogni sposa da lei vestita e accompagnata nel periodo dei preparativi è per me fonte di ispirazione. Guardo ammirata il capolavoro che ogni volta riesce a creare e mi innamoro dell’immaginario di ciò che potrei riuscire a creare. Vivo il talento della signora Bertìa come l’impulso che arriva dalle muse.

“Difficilmente riuscirei a fare la conta delle spose che ho vestito in questi quarant’anni, di certo ognuna mi ha lasciato qualcosa. Sono arrivata ad accogliere in atelier tre generazioni delle stesse famiglie. Immaginate l’emozione di vedere le nonne accompagnare le nipoti pronte al grande passo. Le sensazioni positive che sono sempre riuscita a raccogliere nel mio lavoro mi hanno cambiato la vita. L’adrenalina a cui riuscivo ad attingere mi ha dato ogni giorno la forza di tornare a casa, anche nei momenti più difficili. Il lavoro è stato senza dubbio la mia valvola di sfogo”.

Virginia Mòllica