21 aprile 2020
Fu il fischio della sirena di una nave, alle 12.00 in punto di quel 21 novembre del 1918 a San Francisco a decretare ufficialmente la fine delle restrizioni per il contenimento dell’influenza denominata “Spagnola” ma proveniente da Singapore. Una data, però, quella del 21 novembre che San Francisco ricorda ancora.
Per circa tre mesi, da settembre a novembre, San Francisco aveva conosciuto un lockdown molto simile a quello che ha conosciuto l’Italia e fu, dunque, una vera e propria liberazione quel fischio di sirena, anche perché la popolazione poté finalmente festeggiare anche la fine della prima guerra mondiale. La gente si riversò in strada e gettò via le mascherine delle quali si ricoprirono i marciapiedi, riaprirono i locali e la vita ricominciò più frenetica di prima.
Ma alla fine dell’inverno, la città americana che aveva contato meno morti di tutti gli Stati Uniti, fece i conti con una seconda ondata che decimò la popolazione. Fino al mese di novembre di quell’anno infatti, San Francisco aveva contato 23.639 casi di contagio con un numero di 2.122 morti, numeri di certo minori rispetto a tutte le altre città americane, ciò grazie proprio al lockdown, deciso tempestivamente dal sindaco dell’epoca James Rolph. Ma quando l’influenza tornò, il 7 dicembre dello stesso anno la gente non ne volle sapere di tornare a chiudersi dentro e manifestò riunendosi anche in comitati anti mascherine. Il costo fu elevato: altri 30.000 contagi ed altre tremila vittime, il prezzo più alto di vite umane pagato da una città degli Stati Uniti.