PALERMO, 31 LUG – I Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Agrigento stanno eseguendo un provvedimento di fermo, emesso dalla Dda di Palermo, nei confronti di sette persone indagate per associazione mafiosa e concorso esterno in associazione mafiosa. Al centro delle indagini dei carabinieri la famiglia mafiosa di Licata (Agrigento), di cui sono stati delineati gli assetti e le gerarchie. Nel corso della indagine sono state scoperti infiltrazioni nelle attività imprenditoriali in via di realizzazione nell’Agrigentino ed il ruolo occupato all’interno della cosca da due massoni che erano maestri venerabili di due distinte logge.
I due maestri venerabili sarebbero un funzionario regionale (indagato per concorso esterno alla mafia) e il figlio di un mafioso agrigentino. Nell’indagine sarebbe emerso che alcuni mafiosi avrebbero ottenuto sconti sul pagamento delle spese di giustizia, processi e carcere.
Con Giovanni Lauria, 79 anni, che i carabinieri considerano il boss di Licata, sono finiti in manette, nel blitz notturno degli uomini dell’Arma, il figlio Vito, 49 anni, e un funzionario della Regione siciliana, Lucio Lutri, 60 anni, che con i due Lauria divide l’appartenenza alla massoneria. Gli altri arrestati sono Angelo Lauria, 45 anni, Giacomo Casa, 44 anni, Giovanni Mugnos, di 53, Raimondo Semprevivo, 47 anni. Lauria junior è maestro venerabile della loggia di Licata “Arnaldo da Brescia”, appartenente al Grande Oriente d’Italia (Goi). Lutri, dipendente dell’assessorato all’Energia, dove si occupa di finanziamenti pubblici, è stato maestro venerabile della loggia palermitana “Pensiero e azione” (oggi è “copritore interno” nella stessa loggia, inaugurata a Palermo nel 2016). “L’associazione mafiosa – scrivono i pm nel provvedimento di fermo – ha avuto garantita da Lutri la sua disponibilità e l’utilizzo di importanti canali massonici, ottenendo vantaggi consistenti”. Lutri è un uomo dalla doppia identità, che dice di sé: “La mattina quando mi sveglio con una mano tocco il crocifisso e ‘dra banna’ (di là, ndr) ho il quadro di Totò Riina e mi faccio la croce”. Convinto che le sue relazioni lo avrebbero protetto da ogni pericolo, Lutri diceva: “Ma chi minchia ci deve fermare più?”. Rilevante anche la figura di Angelo Occhipinti, uscito dal carcere due anni fa e alleato dei Lauria. Il suo “ufficio” era un garage, dove aveva installato un disturbatore di frequenze che accendeva ogni volta che organizzava incontri coi boss. Ma l’apparecchio non ha impedito agli investigatori d’intercettare comunque le conversazioni.